Dove sono tutti quanti?

Non poteva mancare, in queste serie di video del progetto Darsi Spazio, il tema della vita extraterrestre. Passiamo in rassegna le questioni aperte, non trascurando gli interrogativi di senso che l’eventualità del contatto con alieni potrebbe comportare.

Famosa la domanda che fece Enrico Fermi mentre lavorava ai laboratori di Los Alamos, nell’ormai lontano 1950. Si parlava di un avvistamento UFO riportato dalla stampa, la conversazione si spostò poi su argomenti correlati, fino a che Fermi sbottò, Dove sono tutti?

È il cosiddetto paradosso di Fermi: se l’universo è pieno di pianeti adatti alla vita, davvero possiamo chiederci, ma dove sono tutti? In altre parole, come mai – a fronte di questa grande abbondanza di stelle e pianeti – non siamo ancora entrati in contatto con nessuno (e a maggior ragione adesso, che le nostre capacità di rilevare segnali dallo spazio sono enormemente cresciute rispetto all’epoca di Fermi) ?

In questa conversazione tra Marco Castellani ed Gabriele Broglia – la quinta della prima serie di Darsi Spazio, sempre sotto la precisa ed affettuosa guida di Emanuele Giampà – si parla proprio di questo.

Come è la situazione per la ricerca di vita nel Sistema Solare? E come andò per il caso della fosfina su Venere? E cos’è l’equazione di Drake?

Già da questi accenni, ben si comprende come l’argomento è realmente vastissimo, così che in questa mezz’oretta di dialogo possiamo appena toccare alcuni dei suoi punti principali, senza pretesa d’esaustività.

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La vita vuole vivere

Alcune considerazioni a margine del dialogo tra Marco Guzzi e Federico Faggin

“La Vita vuole vivere” (come dimostra questo fiore sbocciato sul pavimento del mio terrazzo).

Questo postulato è alla base della teoria darwiniana.  Ma perché la vita vuole vivere? Vivere non è semplice, non è privo di dolore e fatica. Marco Guzzi ci ha detto, in uno degli ultimi incontri a cui ho partecipato, che Buddha sosteneva che stare in un corpo è irritante, è in pratica un fastidio continuo, c’è sempre, in ogni istante, qualcosa che ci infastidisce, e questo quando le cose vanno bene. Allora perché la vita vuole vivere? Lo diamo per scontato ma non lo è affatto.

Il postulato che sta alla base della teoria di Faggin è invece che la Coscienza (Uno, Spiritus, Aνεμος…) vuole essere sempre più cosciente, cioè vuole conoscersi sempre di più.

Ciò spiegherebbe perché la Vita vuole vivere, a tutti i costi. Per conoscere bisogna essere vivi, conoscere non può prescindere dal vivere, anche se ciò implica fatica e dolore.

Certo ci si può fare la stessa domanda: perché la Coscienza vuole diventare sempre più cosciente?

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A partire da dentro

Astrologia, lettura dei fondi di caffè, delle carte, delle viscere degli uccelli o del loro volo…

La scienza non basta, la ragione da sola non basta a vivere, tuttavia ci aiuta a sfrondare, a grattare fino all’essenziale. Provo a partire da qui, ridotta all’osso, dotazione di base, nessun optional.

Guardiamo sempre fuori di noi per unire i puntini e trovare il disegno. E se guardassimo dentro di noi? Forse non dobbiamo unire i puntini, ma prendere in mano la penna e disegnare da capo, senza canovaccio, tutto da inventare.

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Naturale o Artificiale?

Una foglia: naturale.
Un sacchetto di plastica: artificiale.
Il veleno del serpente: naturale.
Un’auto: artificiale.

Bene, la catalogazione sembra facile.

Vitamina C nell’arancia: naturale.
Acido ascorbico nei biscotti: artificiale
E300: artificialissimo!

Ma è sempre lo stesso acido ascorbico altrimenti noto come vitamina C che nella classificazione internazionale degli additivi si chiama E300! Sì, ma… Provo a leggere in un vocabolario online la voce “artificiale”, magari mi aiuta:

“Ottenuto con accorgimenti o procedimenti tecnici che imitano o sostituiscono l’aspetto, il prodotto o il fenomeno naturale: bellezza a., ottenuta con cosmetici e truccature; fiori a. (o finti), imitati con stoffa o carta colorata o plastica; mano, gamba a., costituiti da una protesi.”

Mi viene un sospetto: che sia mal posta la domanda?
Ha poi senso voler fare una distinzione tra naturale ed artificiale?

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Il bambino e il gigante

C’era una volta un bellissimo bambino, nato da due giovani ragazzi inglesi che lo amavano ed erano molto felici che fosse entrato nelle loro vite.

Il piccolo si chiamava Charlie e nel primo mese di vita stava bene, era assolutamente come tutti gli altri: succhiava latte, stava in braccio ai suoi genitori, ogni tanto strillava, faceva popò e dormiva beato nella sua culla. Parenti e amici accorrevano, come accade in genere in questi casi, per vedere il neonato, complimentarsi con i genitori, e portare regali.

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Forse non è poi così semplice

Provate a dare in mano ad un bambino un nuovo gioco, di cui si intravedano i meccanismi interni. La sua curiosità andrà a mille e così inizierà la sfida. Tenterà di staccare qualche parte, di smembrare il giochino fino a denudarlo, ritrovandosi con una serie di pezzetti da cui difficilmente però saprà ricostruire l’oggetto da cui era partito. Tuttavia, ha visto cosa c’è dentro il suo nuovo regalo, ha preso in mano una vite, ne ha capito l’alloggiamento e il funzionamento. Certamente ha guadagnato delle conoscenze, ma ha rotto il gioco che funzionava se tutto intero.

Questo assomiglia molto a ciò che fanno gli scienziati nel loro lavoro. Infatti, il criterio di base del metodo scientifico è la semplificazione. Dato che i fenomeni da studiare sono complessi, non siamo in grado di affrontarli così come sono e, come il bambino, abbiamo bisogno di smembrare, frazionare, suddividere per portarci su unità di studio più semplici, tanto semplici da poterle ridurre a misura delle nostre capacità manipolatorie.

Con la fisica e le questioni di sua pertinenza, le cose ci vanno piuttosto bene. Ricordiamo tutti la storiella di Galileo che buttava gravi dalla torre di Pisa e così imparava a descrivere matematicamente il moto accelerato dei corpi in caduta libera. KepleroNewton e le loro equazioni ci permisero di calcolare le orbite dei pianeti, fino ad arrivare alle onde gravitazionali previste dalla teoria della relatività generale di Einstein e finalmente rivelate per la prima volta a dicembre 2015.

Matematica, descrizioni, osservazioni, sperimentazioni qui riescono a fare gioco di squadra.

Per poco però che ci inoltriamo nell’ambito dell’organico, le cose iniziano a complicarsi. Per il comportamento cellulare è già più difficile isolare i vari componenti e capirne la dinamica a partire dalla modifica di un singolo elemento, perché non si riesce realmente ad enucleare un singolo fattore per attribuirgli tutta la causa della conseguenza che osserviamo. La faccenda si fa ancora più ardua per un organismo pluricellulare, e su su dentro l’arbusto evolutivo. Gli organismi, poi, non sono individualità separate, ma vivono in contesti, in relazione tra di loro e con l’ambiente, quindi il pedaggio della frammentazione si fa vertiginoso. Non parliamo poi di applicare il metodo scientifico alle scienze sociali, psicologiche ecc.

Lo spezzettamento in parti però mi pare paradigma del sistema che si sta dissolvendo. Come se questo approccio fosse ormai insufficiente e, almeno in parte, anacronistico, come se anche la scienza avesse bisogno di trovare nuovi criteri su cui fondare il suo metodo.

E se l’integrazione del suddiviso diventasse criterio aggiuntivo imprescindibile per l’indagine del mondo?

Se nell’articolazione del reale, i livelli organizzativi superiori non sono la semplice somma algebrica dei pezzi che li costituiscono, allora lo studio dell’intero, brulicante di relazioni, deve avere una sua dignità in sé. Pena la perdita non soltanto di informazione, ma anche di senso.

E se le discipline, attraverso cui cerchiamo di indagare il nostro mondo, scoprissero un nuovo livello di relazionalità che consentisse loro una forma dialogica di messa in comune delle specificità, per tratteggiare un quadro più organico, in ascolto del reale? La giustapposizione della multidisciplinarità non basta più e l’interdisciplinarità è ancora troppo poco; c’è bisogno di un intreccio profondo dei saperi per una nuova sintesi sapienziale.

Forse la precisione millimetrica e il colpo d’occhio panoramico sono in attesa di coniugarsi nel ritmo di un nuovo passo.

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