Alcune riflessioni sul panpsichismo

L’articolo Panpsichismo: la teoria che può rivoluzionare la filosofia della mente1 di Philip Goff2 esplora in profondità una delle proposte più affascinanti e radicali nel campo della filosofia della mente: il panpsichismo. Questa teoria si pone come una via di mezzo innovativa rispetto alle tradizionali posizioni materialiste e dualiste, offrendo una chiave di lettura alternativa per affrontare il problema della coscienza.

Il materialismo, che ha dominato gran parte del dibattito filosofico e scientifico, sostiene che tutto ciò che esiste è essenzialmente riducibile a processi fisici e chimici. Tuttavia, questo approccio fatica a spiegare in modo soddisfacente il fenomeno dell’esperienza soggettiva, il “come” e il “perché” del sentire e del percepire. Il dualismo, d’altra parte, propone una separazione netta tra mente e corpo, postulando l’esistenza di una realtà non materiale che si occupa della coscienza. Ma anche questa visione incontra difficoltà, soprattutto quando si cerca di integrare in maniera coerente le interazioni tra la dimensione mentale e quella fisica.
Il panpsichismo afferma che la coscienza non sarebbe un attributo esclusivo degli esseri umani o degli organismi viventi, ma una proprietà intrinseca della materia stessa. In questo quadro, ogni componente dell’universo, dai quark alle galassie, possiede una forma rudimentale di esperienza, un proto-sentire. Ciò significa che la coscienza, lungi dall’essere un prodotto emergente di processi cerebrali complessi, sarebbe una caratteristica fondamentale e onnipervasiva della realtà.

L’articolo riporta le radici storiche di questo pensiero, evidenziando come il panpsichismo non sia una teoria nuova, ma abbia avuto esponenti illustri nel corso della storia della filosofia. Pensatori come Bertrand Russell e Arthur Eddington hanno lasciato intravedere l’idea che la fisica, pur descrivendo in modo preciso le strutture e i processi del mondo materiale, non riesca a cogliere l’essenza intrinseca delle cose. Questa “doppia faccia” della realtà, quella oggettiva e quella soggettiva, potrebbe essere superata se si ammette che la coscienza sia una proprietà fondamentale della materia.

Un esempio contemporaneo di sostenitore del panpsichismo (posizione alla quale sono vicini sia il Teilhard de Chardin3 che Federico Faggin4) è il filosofo Philip Goff, il quale ha approfondito questa teoria nel suo libro L’errore di Galileo. Goff racconta il suo percorso intellettuale, passando da una visione inizialmente materialista a quella panpsichista, spinto dalla consapevolezza che il materialismo tradizionale non riesce a spiegare adeguatamente il fenomeno della coscienza. Secondo lui, riconoscere una forma di esperienza anche nelle entità più semplici dell’universo potrebbe rappresentare la chiave per una nuova comprensione della realtà, capace di colmare il divario tra mente e materia.

Il panpsichismo, pur offrendo una visione affascinante e potenzialmente rivoluzionaria, non è esente da critiche e questioni irrisolte. Una delle principali sfide riguarda il cosiddetto “problema della combinazione”: se ogni particella possiede una forma minima di coscienza, come si fa a spiegare che, in organismi complessi come quello umano, queste esperienze basilari si integrino per dare origine a una coscienza unificata e complessa? Inoltre, l’idea che anche gli oggetti inanimati possano avere una forma di esperienza solleva interrogativi sulla natura stessa della vita e dell’intelligenza, portandoci a riconsiderare i confini tradizionali tra animato e inanimato.
L’articolo suggerisce che, nonostante le difficoltà interpretative e le domande ancora aperte, il panpsichismo rappresenta una prospettiva in grado di rivoluzionare la filosofia della mente. Abbracciando l’idea che la coscienza sia una caratteristica fondamentale dell’universo, questa teoria spinge a ripensare le relazioni tra il mondo fisico e quello esperienziale, offrendo una via per superare i limiti imposti dalle visioni materialiste e dualiste. Se confermata, una tale prospettiva potrebbe avere implicazioni profonde non solo per la filosofia, ma anche per le scienze cognitive e persino per la nostra concezione etica del mondo, suggerendo che la presenza di una forma di esperienza sia un attributo universale.

Ad un certo punto del testo, Goff afferma che quello che ha reso la fisica così efficace nel rispondere alle nostre domande è il fatto che la fisica ci dice come le cose si relazionano tra di loro e quindi ci permette di fare previsioni accurate, ma non ci dice nulla (né è il suo compito) sulla natura intrinseca delle cose stesse.
Noi non possiamo conoscere la natura intrinseca delle cose in generale, visto che abbiamo una percezione esterna ad esse. Questo è vero con una sola eccezione, ovvero il nostro corpo: ognuno di noi può verificare empiricamente che la natura intrinseca di noi (come oggetti fisici) è la nostra coscienza.
In realtà nell’articolo Goff dice una cosa leggermente diversa: afferma che la natura intrinseca del nostro cervello (inteso come oggetto materiale) è la nostra coscienza, ma non mi sento d’accordo ad attribuire al nostro cervello la proprietà di essere luogo esclusivo della nostra coscienza.

Dove si trova la coscienza?

Goff afferma che la natura intrinseca del nostro cervello (inteso come oggetto materiale) è la nostra coscienza. Cercando di fare attenzione a come io ho consapevolezza di me stesso, mi pare sia più preciso dire che la nostra coscienza è il centro del nostro corpo…
Se in un mondo fantascientifico riuscissimo realmente a separare completamente il cervello dal nostro corpo, isolandolo da esso pur mantenendolo in vita, immagino che questo cervello avrebbe probabilmente una qualche forma di esperienza cosciente, ma sarebbe estremamente più povera di quella che possiamo sperimentare come esseri dotati di un corpo.
Facciamo questo esperimento mentale: quando una persona diventa cieca (perché perde l’uso degli occhi), perde certamente una parte della sua esperienza cosciente (ci sarebbe un “vuoto” dove prima c’era l’esperienza visiva) ma le ricerche ci dicono che mano a mano che impara a far un miglior uso degli altri sensi (udito, tatto, olfatto) le aree della corteccia visiva non più utilizzate vengono perlopiù cooptate rispondendo ad altri stimoli, e la sua esperienza cosciente si arricchisce nuovamente, in maniera diversa da quella di prima5. Questo processo di ri-ampliamento dell’esperienza cosciente va di pari passo con la formazione di nuovi pathway neuronali all’interno del cervello. E’ stato provato che i ciechi usano comunque la corteccia visiva per farsi un’immagine lo spazio attorno a loro, nonostante non la usino per la vista vera e propria. Le informazioni che non provengono più dagli occhi vengono derivate dalla rielaborazione dei segnali provenienti dagli altri sensi.

Quindi, per la perdita di uno dei sensi, possiamo immaginare che l’esperienza possa essere comunque ricca, ma se perdessimo tutti i sensi? Sarebbe come essere immersi in una camera di deprivazione sensoriale.
Anzi, peggio, perché in una camera di deprivazione sensoriale il cervello riceve comunque i segnali provenienti dall’interno del corpo. Se pensassimo a un cervello isolato, non riceverebbe nemmeno quelli. Dopo poco tempo che una persona si trova in una camera di deprivazione sensoriale, essa inizia a vivere allucinazioni sonore e visive. Non so cosa succede se una persona rimane molto tempo, ma immagino che la mente e il senso di sé in qualche maniera si sfaldino6.
Quindi non mi sembra appropriato dire che la coscienza si trova nel cervello.

Chiedendo infine a ChatGpt se la coscienza si trova nel cervello o nel corpo ottengo questa risposta, che riassume le ricerche sul luogo della coscienza:

La coscienza umana è un fenomeno complesso che coinvolge sia il cervello che il corpo. Tradizionalmente, la coscienza è stata attribuita principalmente al cervello, in particolare alla corteccia cerebrale e a strutture come il talamo e il sistema reticolare attivatore, che regolano lo stato di veglia e l’attenzione. Tuttavia, studi recenti suggeriscono che la coscienza non sia unicamente confinata al cervello, ma emergerebbe dall’interazione tra il sistema nervoso centrale e il resto del corpo.

Teorie principali sulla coscienza:

1. Coscienza come prodotto del cervello
– Secondo questa prospettiva neuroscientifica classica, la coscienza è il risultato dell’attività neuronale, in particolare delle connessioni tra diverse aree del cervello.
– Teorie come quella dell’integrazione dell’informazione (IIT di Giulio Tononi) e quella del Global Workspace (Bernard Baars) vedono la coscienza come un sistema distribuito che coordina ed elabora informazioni a livello cerebrale.
2. Il ruolo del corpo nella coscienza
– Teorie più recenti, come quella di Antonio Damasio, suggeriscono che il corpo gioca un ruolo cruciale nella coscienza attraverso le emozioni e la percezione interocettiva (cioè la consapevolezza del proprio stato corporeo).
– Il concetto di “cognizione incarnata” propone che la coscienza emerga dall’interazione tra cervello, corpo e ambiente.
3. La teoria della mente estesa
– Alcuni filosofi e scienziati cognitivi, come Andy Clark e David Chalmers, suggeriscono che la coscienza potrebbe non essere solo nel cervello, ma anche distribuita tra corpo e ambiente (ad esempio, l’uso di strumenti cognitivi esterni come la scrittura o la tecnologia).

Conclusione
Anche se il cervello è il principale “processore” della coscienza, il corpo e le sue sensazioni influenzano profondamente la nostra esperienza soggettiva. Quindi, la coscienza non è solo nel cervello, ma è il risultato di un sistema dinamico che coinvolge tutto l’organismo.


Forse si può dire che la coscienza è collocata funzionalmente principalmente nel cervello, ma in secondo ordine anche nel corpo, e probabilmente anche nell’ambiente esterno.
Esistono delle ricerche che dimostrano come l’uso abituale di un attrezzo (ad esempio un martello) fa in modo che anche l’attrezzo sia percepito (e trattato a livello sensomotorio) come una parte del corpo7. Quindi anche la percezione di quello che è il proprio corpo e di quello che è fuori non è rigida, ma è fluida.

Cosa sa un martello?

Una questione che mi sembra importante porsi è questa: se io uso un martello, e la mia percezione soggettiva è che il martello sia una estensione del mio corpo (quindi la mia coscienza “include” nel senso di sé anche la materia del martello), si viene a creare un qualche collegamento di coscienza tra il mio io e il martello? Gli atomi del martello “sanno” di essere parti di me, cambia qualcosa per loro?
La stessa domanda può essere posta per parti del nostro corpo: i mei capelli o le mie unghie “sanno” a un qualche livello di essere parti di me?
Probabilmente no… la struttura molecolare degli atomi del martello o delle unghie è ben diversa da quella del cervello. Tornando all’articolo, Goff scrive:

In secondo luogo, fatto forse ancora più decisivo, i panpsichisti non credono che una coscienza come la nostra sia in ogni dove. I pensieri e le emozioni complesse provati dagli esseri umani sono il risultato di milioni di anni di evoluzione per selezione naturale, ed è chiaro che le singole particelle non ne sono dotate. Se pure gli elettroni avessero una forma di esperienza, questa sarebbe inimmaginabilmente semplice.

Quindi, secondo i panpsichisti, il martello, o le mie unghie non possono “sapere” neanche lontanamente quanto “so” io.
Però è un bel rovesciamento di prospettiva pensare che il legame psichico che c’è tra me e il martello (in quanto lo percepisco come parte di me) si concretizzi nel legame fisico che c’è tra me e il martello. Cioè, la minuscola parte di coscienza degli atomi del martello “sa” a un livello infimo di essere parte di me, e questo loro sapere molto basilare si manifesta proprio nella fisica, ovvero nel fatto che il martello che tengo in mano può essere mosso secondo la mia volontà. Il legame è ovviamente fisico (gli atomi della mia mano possono imprimere moto a quelli del martello), ma possiamo speculare sull’idea che questo sia un epifenomeno del fatto che la consapevolezza degli atomi del martello è di essere solidali con gli atomi della mia mano che lo stringe.
Non so se questa prospettiva è falsificabile, ma può essere un passetto nella direzione di un rapporto più genuino con la realtà, anche (forse), nella creazione di un rapporto con la realtà tale da eludere le leggi fisiche conosciute, che proverebbe la realtà del rapporto psichico.

Una questione di forma mentis


Ho comunque l’impressione che la percezione della coscienza come situata nel cervello oppure nel corpo, oppure ancora più estesa anche al di fuori del corpo fisico dipenda dalla forma mentis del soggetto che si pone la questione.


Un intellettuale, che vive molto nei suoi pensieri, la percepirà nel cervello, un atleta che allenandosi continuamente è molto attento al suo corpo, la percepirà molto anche lì. Un mistico/ricercatore, che ha avuto esperienze di coscienza espansa (a me è capitato), la percepirà anche al di fuori del corpo. Come dice Marco Guzzi, (riprendendo gli insegnamenti buddhisti, mi pare), la coscienza tende ad attaccarsi ai contenuti, identificandosi con essi. Questi attaccamenti sono la causa della sofferenza, e imparare a staccare la propria coscienza, a disidentifcarsi, è la via della liberazione.
Meditando bene questo concetto, cioè che la nostra coscienza si identifica con quello su cui tendiamo ad appoggiare la nostra attenzione, non è così sorprendente notare che culture diverse dalla nostra, informati da stati di coscienza diversi, da modi diversi di collegarsi alla realtà, abbiano sviluppato teorie scientifiche diverse, direi complementari alla nostra. I saggi taoisti hanno sviluppato la teoria del qi (dei soffi), che vuole fornire una visione sistematica del modo in cui l’energia fluisce nel cosmo, e dentro e fuori dal corpo umano8.
Questa teoria (come quelle equivalenti nelle altre culture) rendono conto della percezione “mistica” dell’unità di tutte le cose che si ha in determinati stati di coscienza, quando il Sé si è liberato dall’ego. Una frase che riassume l’insegnamento delle Upanishad è Tat tvam asi (Quello tu sei). Quando la coscienza convenzionale si rompe, e attraverso di essa filtra la luce dell’Assoluto, allora percepiamo come ogni cosa sia connessa a tutte le altre, percepiamo l’unità del Tutto e percepiamo la beatitudine.
Già il fatto che le tradizioni sapienziali mondiali abbiano, in tempi e modi diversi, sviluppato visioni simili riguardo al nostro rapporto con l’universo, potrebbe essere comunque una prova per la persona ragionevole del fatto che la direzione verso la quale si sta dirigendo la scienza è questa. Essedo la verità unica, come la realtà. Quindi, godiamoci il viaggio.

  1. https://www.indiscreto.org/panpsichismo-la-teoria-che-puo-rivoluzionare-la-filosofia-della-mente/ ↩︎
  2. Philip Goff è un filosofo britannico, professore alla Durham University, la cui ricerca si svolge nell’ambito della filosofia della mente e della coscienza. Nel 2019 ha pubblicato L’errore di Galileo. Fondamenti per una nuova scienza della coscienza ↩︎
  3. F. Mantovani, Complessità-coscienza e panpsichismo (2012): https://www.biosferanoosfera.it/uploads/files/3aa721cb4bbf22b65adb7a329d989a941045e34f.pdf ↩︎
  4. Faggin discute del panpsichismo nel libro Irriducibile. La coscienza, la vita i computer e la nostra cultura. Mondadori (2022) ↩︎
  5. https://iapb.it/ciechi-con-sensi-potenziati/ ↩︎
  6. https://lamenteemeravigliosa.it/deprivazione-sensoriale-gli-spaventosi-effetti ↩︎
  7. https://www.lescienze.it/news/2009/06/24/news/strumenti_spazzolini_e_mappe_corporee-574501/ ↩︎
  8. una breve introduzione alla cosmologia cinese è presente in C. Larre, F. Berera, Filosofia della medicina tradizionale cinese; Jaca Books 1997 ↩︎

Un approccio ragionevole

Cosa ci può dire un libro di alcuni decenni fa, sul modo corretto (e bello) di fare scienza, oggi?

L’impresa scientifica – l’abbiamo sottolineato molte volte, in queste pagine – non ha per nulla bisogno (contrariamente a quanto comunemente si pensa) di un asettico distacco dell’esaminatore rispetto al materiale di laboratorio, mentre si giova moltissimo di un approccio inverso, dove anche il sentimento viene tenuto in debita considerazione. Si tratta però di capire bene in che modo tenerne conto.

La gioia dei tecnici NASA all’arrivo della sonda New Horizons su Plutone, al suo “risveglio” avvenuto con successo, dopo anni di silenzioso viaggio…

Urge contestualizzare. In questi mesi, accogliendo un suggerimento di lavoro proveniente dal movimento di Comunione e Liberazione, ho ripreso dall’inizio il testo di don Luigi Giussani, forse il suo più celebre: Il Senso Religioso. Questo costituisce il primo dei tre volumi in cui si articola la proposta del suo perCorso (gli altri sono rispettivamente All’origine della Pretesa Cristiana e Perché la Chiesa). Come è stato notato in altra sede, questo primo è un volume che parla pochissimo di metafisica o teologia, mentre si sofferma molto della modalità corretta del conoscere, considerata a ragione una premessa essenziale a tutto il resto. Riguardo poi il mio Giussani, con grande piacere (e con una innegabile senso di rassicurazione: ero finito nel posto giusto), mi accorsi già molti anni fa che i primi due volumi del suo perCorso sono presenti nella bibliografia consigliata per il triennio di Darsi Pace. Tutto torna, insomma.

Leggi tutto “Un approccio ragionevole”

La scienza è un metodo

Definire bene le cose è il primo passo verso la chiarezza del pensiero. La corretta definizione di scienza la libera da tanti pregiudizi e ne restituisce la limpida semplicità che le è propria.

In effetti è così. La scienza è essenzialmente un metodo. Cultura e spiritualità hanno un compito pedagogico infinito, anche (aggiungo io) nel farci comprendere la vera natura dell’impresa scientifica.

La scienza è un metodo straordinario che ha dato risultati travolgenti. Un metodo di verifica, decisamente un bel metodo. Capace di schiarire la mente, aveva davvero ragione Friedrich Nietzsche. Personalmente, ho sempre avvertito come un buon articolo scientifico faccia pulizia nel cervello, allontani un po’ le paure ingiustificate, liberi i neuroni da tante scorie di pensieri pseudo filosofici perlopiù errati. La vera scienza fa bene al cuore, alla mente e al fisico.

Lo scientismo è invece una filosofia (da quattro soldi, aggiunge Marco Guzzi in questo estratto). Propria di persone che non conoscono la filosofia, i grandi passaggi del pensiero filosofico. Costellato di dogmatismi, che sono quanto di meno scientifico esista al mondo. Abbiamo un compito, che è quello di celebrare la scienza, difendere la vera scienza, dandole il suo ambito, che è un ambito molto preciso.

L’estratto a cui mi sto riferendo è una piccola parte della ben più estesa video intervista “Costruire la PACE dentro un sistema di GUERRA” a cura di Silvana Carcano, reperibile da YouTube (e per la limpidezza di visione e la rilevanza dei temi trattati vale senz’altro la pena di guardarlo tutto, anche se la parte dedicata alla scienza, di interesse specifico in questa sede, è concentrata nell’estratto che proponiamo).

Leggi tutto “La scienza è un metodo”

Digitale vs Analogico

Dobbiamo stare “al nostro posto” o dobbiamo lavorare per unire le divere competenze, armonizzare le diverse prospettive?

Un monito a rimanere vigili, perché la diversità di competenze non si trasformi nella trappola della separazione contrappositiva dei settori.

Lo scienziato sta nel suo laboratorio.
Il politico sta al governo.
L’economista sta nella City.
Il panettiere sta davanti al forno.
Lo studente sta a scuola.

Ognuno ha il suo cassetto in cui stia comodo comodo, abbia le sue competenze e veda di non interferire con le attività degli altri! Stai al tuo posto, nella tua specialità, non invadere il mio campo.

Spesso rischiamo di vederla così. Ognuno ha il suo recinto, pressoché impermeabile a quello degli altri; quindi, marchiamo il territorio e nessuno osi oltrepassare il confine di proprietà. Mi verrebbe da dire che adottiamo una prospettiva digitale, dove tutto è netto, codice binario, limiti precisi, nessuna sbavatura.

Leggi tutto “Digitale vs Analogico”

Solo il fantastico, è reale

Terza puntata. Dopo aver speso qualche parola sul tipo di universo in cui ci troviamo a vivere, e come si può interpretare anche il dato scientifico più aggiornato perché ci torni a “parlare” di nuovo, ora iniziamo a percorrere una suggestiva e misteriosa strada, che sembra capace di portarci, se la vogliamo seguire davvero, fino alle lontane stelle…

Come avverte un poeta contemporaneo rumeno, Valeriu Butulescu, “La poesia è nata la notte in cui l’uomo ha iniziato a contemplare la luna, consapevole del fatto che non era commestibile”. Vi è dunque, all’origine dell’atto poetico, un primordiale atto di osservazione, di contemplazione, del cielo. Da qui in avanti la vera scienza non può che nutrirsi di meraviglia: il ricercatore ha bisogno non solo di dati e tabelle, proiezioni e statistiche, ma di attingere continuamente alla categoria del fantastico, per mantenere la mente aperta, ricettiva a quei segnali dall’universo, che altrimenti perderebbe. 

Leggi tutto “Solo il fantastico, è reale”

Un universo in corsa

Seconda puntata. Dopo aver realizzato come il modo “moderno” di guardare al cosmo non possa più “far fuori” la parte irriducibile di mistero che anzi risulta necessaria per accrescere il fascino dell’indagine stessa, ora iniziamo a vedere meglio di che tipo di universo ci stiamo occupando.

Essere usciti da una concezione di universo “statico”, pieno di stagnanti certezze ma ultimamente vuoto di mistero, non è certo senza conseguenze. La nozione di un cosmo in espansione ha meritoriamente relegato alla storia delle idee, proprio quel paradigma di universo stazionario, che per molto tempo ha preso spazio nei testi di astronomia e cosmologia, e che purtroppo per tanta parte ancora occupa la nostra mente, informa e definisce il nostro stesso modo di ragionare.

Il Big Bang, questa sorta di esuberante inizio del “tutto” (certo, i fisici avvertono che non si è trattato propriamente di una esplosione, ma possiamo pensarlo un po’ come tale), introduce un irreversibile dinamismo nell’armonia delle sfere, e legittima una visione storica, abilita un senso di sviluppo che è avvitato nel tempo, imperniato nel divenire, nella trasformazione progressiva, nel non essere mai uguale a sé stessi.

Leggi tutto “Un universo in corsa”

Conoscenza e mistero

Sono tempi nuovi: il nuovo “urge” in noi, nelle nostre vite personali e nella vita sociale. Lo vediamo dovunque, perfino nelle tante irrequietezze politiche di questi mesi. Dove tutto viene rimesso in discussione, anche scenari che per anni e anni sono stati considerati acquisiti. Tutto cambia, tutto si modifica costantemente. Come è dunque diversa questa percezione, tutta “moderna”, da quanto si pensava fino a pochi decenni fa, pervasi ancora da un “modo di ragionare” che ormai sentiamo come lontanissimo! E nella scienza,  tutto questo fermento si avverte, allo stesso modo. 

”Probabilmente ci stiamo avvicinando al limite di tutto ciò che è possibile conoscere sull’astronomia.” Questa frase si deve a Simon Newcomb, dotto matematico ed astronomo dell’ottocento, e sintetizza bene una posizione che decisamente, non ci appartiene più. Davvero si era arrivati, alla fine del diciannovesimo secolo, ad un momento in cui si riteneva di aver compreso la quasi totalità delle dinamiche di funzionamento del mondo fisico. Una comprensione – va detto – rigidamente meccanicistica, specchio esatto e puntuale del modo di concepire il mondo ed i rapporti che si aveva in quell’epoca “dei lumi”.

Leggi tutto “Conoscenza e mistero”

Frammentazione della scienza e consapevolezza mistica

Il Tao che può essere detto
non è l’eterno Tao,
il nome che può essere nominato
non è l’eterno nome.
Senza nome è il principio
del Cielo e della Terra,
quando ha nome è la madre
delle diecimila creature.

Lao Tzu[1]

L’incipit del Tao Te Ching, uno dei più celebri testi di saggezza cinese, ci mette in guardia dal dare un valore di realtà essenziale a ciò di cui possiamo pronunciare il nome. Dare nome alle cose, voler specificare, distinguere, è origine di ogni separazione e molteplicità. Questo principio di saggezza universale, che riverbera nel comandamento mosaico di non farsi immagini o idoli di Dio, può aiutarci a focalizzare l’idea che esista una distanza infinita tra ciò che noi possiamo intendere razionalmente (spiegare) e ciò che è la realtà “ultima” delle cose. Non che la realtà ultima non possa essere avvicinata, ma semplicemente non può essere spiegata a parole, né può essere pronunciata verbalmente una qualsiasi “verità definitiva” sulla realtà essenziale.

Leggi tutto “Frammentazione della scienza e consapevolezza mistica”

Le ZooScienze che sono e che verranno

Uno dei problemi del sapere contemporaneo è l’incredibile proliferare delle discipline del sapere, e della scienze in particolare: un vero zoo. Sviluppo inevitabile: all’aumentare delle conoscenze, per poter progredire.

Aristotele nonostante sia primariamente un filosofo scrive anche di astronomia e zoologia. Pochi fra gli antichi hanno generato nuove conoscenze in senso non trasversale: dai greci ai medioevali il sapere era uno e il sapiente studiava di tutto. Poi con la modernità l’albero si differenzia sempre più profondamente, discipline sempre più fitte nello zoo ramificato del sapere. Giù giù sempre più in profondità, sempre più specializzato…. la conseguenza l’abbiamo sotto gli occhi oggi: le discipline non parlano più gli stessi linguaggi, ognuno il suo gergo, non si capiscono più, non sono interessate l’una all’altra. Alla fine perdiamo il senso del tutto. Siamo esseri limitati: se il sapere aumenta aumenta anche il numero di discipline, è inevitabile; non possiamo essere tuttologi o pretendere che gli specialisti lo diventino, non sono superuomini (Figura 1). Quando capiterà mai a un geologo di leggere un articolo di biologia?

Figura 1, la progressiva specializzazione del sapere…
Leggi tutto “Le ZooScienze che sono e che verranno”

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi