IA e disumanizzazione accelerata

Come l’essere umano ha già perso il controllo dell’intelligenza artificiale

Negli ultimi anni c’è stata una vera e propria esplosione di sistemi di intelligenza artificiale (IA, molti preferiscono usare “sistemi intelligenti”, io preferirei qualcosa del tipo “sistemi algoritmo-automatici”). Così è stato anche in ambito militare dove solitamente (purtroppo) avvengono le innovazioni principali che poi vengono dispiegate anche in ambiti civili (ad esempio: l’energia atomica, la rete internet, il GPS, ecc…).

Immagine dell’autore, creata con GIMP

La tecnica in genere ha portato anche in ambito militare una disumanizzazione dei conflitti. Non è che prima dell’arrivo della polvere da sparo i conflitti fossero “umani”, ma per lo meno c’era un contatto di corpi, uno scambio di sguardi, si sentiva l’odore di sangue e morte, un clangore metallico di spade (avete presente a quanti dà fastidio lo sfregare delle posate?), ecc… Con l’evoluzione tecnologica si è passati ad un distacco sempre più ampio. Si ammazza da lontano: dentro enormi bombardieri, lanciando missili davanti a schermi a centinaia di chilometri di distanza dall’obiettivo da colpire o guidando a distanza droni. Nell’ultimo secolo, si è perso un contatto fisico con il nemico, non essere più sul campo vuol dire non essere coinvolto emotivamente, non c’è possibilità che emerga una qualsiasi forma di empatia.

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Il rapporto tra l’uomo e la macchina.

Guzzi, Faggin, Davide Sabatino e i Gruppi Darsi Pace. Con un invito, per domenica 29 ottobre, a Roma (o in streaming).

Il rapporto tra l’uomo e la macchina. È questa, a mio modo di vedere, una delle sfide decisive del nostro tempo perché ci costringe ad interrogarci su chi sia l’uomo, e se l’uomo si risolva in un meccanicismo deterministico equiparabile alle regole che governano la macchina.

In brevissimo – e rimando per ogni spunto personale al bellissimo saggio di Davide Sabatino all’interno dell’opera collettanea “La politica di una nuova umanità” – può dirsi che al giorno d’oggi ogni interrogativo sulla “natura” umana sia fortemente contaminato da una filosofia trans-umanista o post-umanista che promettendo un benessere maggiore ed una felicità incomparabile, tenta di scomporre l’uomo ad un insieme di dati, oppure ad un insieme di ingranaggi tecnici che possono essere fusi con le potenzialità dello sviluppo tecnologico, con la promessa prometeica di farci finalmente evadere dal nostro carcere interiore, dal nostro stato di minorità, ed elevarci a potenzialità neanche immaginabili.

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Siamo più delle macchine: Federico Faggin al Festival della Letteratura di Mantova

Riporto alcuni appunti riguardo all’incontro di Federico Faggin (che tutti conosciamo) intervistato da Elisabetta Tola (giornalista scientifica, conduttrice della trasmissione Radio3Scienza) sul tema “Siamo più delle macchine”. Il resoconto è intervallato da alcune mie considerazioni, evidenziate in corsivo.

L’incontro è iniziato con una presentazione biografica di Federico Faggin, a partire dalla sua infanzia a Vicenza, gli studi e le sue imprese alla Silicon Valley, che l’hanno portato a interrogarsi sul substrato fisico della consapevolezza. In seguito ad alcune cruciali esperienze spirituali, che hanno rigenerato il suo punto di vista sul rapporto tra realtà fisica e coscienza, Federico è stato costretto a rivedere completamente l’approccio teoretico con il quale aveva affrontato il problema della coscienza, trovando nel contempo la via per uscire dalla crisi di senso (propria dell’uomo moderno) nella quale il suo animo era imprigionato. In questo percorso ha creato una fondazione con lo scopo di promuovere la scienza della consapevolezza.


Il suo discorso parte dalla considerazione che nell’universo possono essere identificati due aspetti complementari: un aspetto creativo e un aspetto algoritmico. L’aspetto creativo si esprime nell’animo umano, che si impegna e riesce a risolvere i problemi che l’esistenza gli sottopone, e che inoltre si dedica allo sviluppo delle arti, alla ricerca della verità e della bellezza. La creatività non è propria solo dell’umano, ma di tutta la vita in genere. Ogni essere vivente, dal più semplice al più complesso, è impegnato a risolvere problemi che gli sottopone l’esistenza e, e come noi, lo fa in maniera creativa, secondo le capacità di cui è dotato. Di contro, l’aspetto algoritmico consiste in tutte quelle attività che riconosciamo come meccaniche e riconducibili a fenomeni deterministici. La ricerca scientifica si è concentrata sugli aspetti deterministici, e quindi abbiamo scoperto l’esistenza di leggi fisiche cui risponde la materia. Il punto è che anche la materia vivente risponde alle leggi fisiche, ma essa non è determinata solamente da queste: in essa è presente anche un aspetto creativo. Il problema della scienza (e anche della civiltà occidentale, ora globalizzata) consiste nell’aver perso di vista il valore “cosmico” dell’aspetto creativo della realtà.

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