Meglio un uovo oggi che una gallina domani

In un sistema di mondo sempre più improntato alla velocità e quindi all’avventatezza, l’esperienza ci dovrebbe insegnare nuovamente il valore della prudenza.

Pare che ci siamo evoluti in ambienti altamente pericolosi. Abbiamo trascorso la maggior parte del nostro tempo evolutivo ad essere una preda e a dover reagire in modo fulmineo ad ogni segno sospetto.

Così il nostro modo di percepire il mondo, le nostre euristiche cognitive sono stati selezionati avendo come obiettivo quello di evitare di essere mangiati. Un gran bell’obiettivo!

Oggi noi viviamo in condizioni molto diverse da quelle che ci hanno accompagnato per 300.000 anni di storia evolutiva. Per noi il nostro essere potenzialmente preda per un altro animale è piuttosto remoto.

Molto più probabile è che siamo noi il predatore. Sfruttiamo le risorse naturali con una avidità da Guiness dei primati. Dall’estrazione dei minerali e dei combustibili fossili alla pesca, dalla deforestazione alle monocolture intensive, dall’industrializzazione che succhia energia in quantità elevatissime allo spreco di manufatti da acquistare e buttare a ritmo sempre più vorticoso.

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Quale percorso tra fede e ragione?

Rispondiamo volentieri a una praticante di Darsi Pace che ci scrive a proposito dei disagi che causano in lei certi contenuti su Internet, apparentemente credibili ma in realtà deboli nella sostanza.

Carissima Rosalba,

a proposito del video di Corrado Malanga che ci hai segnalato e delle perplessità che ben si evidenziano in modo così fervido dalle tue forti espressioni come “abisso terrorizzante” e “schizofrenia tra fede e razionale”, riteniamo sia importante fare qualche considerazione di carattere generale.

Ti ringraziamo per la tua domanda perché ci dà un importante spunto a riflettere su questi nostri tempi, cosa che il nostro movimento non manca mai di fare.

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La scienza è un metodo

Definire bene le cose è il primo passo verso la chiarezza del pensiero. La corretta definizione di scienza la libera da tanti pregiudizi e ne restituisce la limpida semplicità che le è propria.

In effetti è così. La scienza è essenzialmente un metodo. Cultura e spiritualità hanno un compito pedagogico infinito, anche (aggiungo io) nel farci comprendere la vera natura dell’impresa scientifica.

La scienza è un metodo straordinario che ha dato risultati travolgenti. Un metodo di verifica, decisamente un bel metodo. Capace di schiarire la mente, aveva davvero ragione Friedrich Nietzsche. Personalmente, ho sempre avvertito come un buon articolo scientifico faccia pulizia nel cervello, allontani un po’ le paure ingiustificate, liberi i neuroni da tante scorie di pensieri pseudo filosofici perlopiù errati. La vera scienza fa bene al cuore, alla mente e al fisico.

Lo scientismo è invece una filosofia (da quattro soldi, aggiunge Marco Guzzi in questo estratto). Propria di persone che non conoscono la filosofia, i grandi passaggi del pensiero filosofico. Costellato di dogmatismi, che sono quanto di meno scientifico esista al mondo. Abbiamo un compito, che è quello di celebrare la scienza, difendere la vera scienza, dandole il suo ambito, che è un ambito molto preciso.

L’estratto a cui mi sto riferendo è una piccola parte della ben più estesa video intervista “Costruire la PACE dentro un sistema di GUERRA” a cura di Silvana Carcano, reperibile da YouTube (e per la limpidezza di visione e la rilevanza dei temi trattati vale senz’altro la pena di guardarlo tutto, anche se la parte dedicata alla scienza, di interesse specifico in questa sede, è concentrata nell’estratto che proponiamo).

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Digitale vs Analogico

Dobbiamo stare “al nostro posto” o dobbiamo lavorare per unire le divere competenze, armonizzare le diverse prospettive?

Un monito a rimanere vigili, perché la diversità di competenze non si trasformi nella trappola della separazione contrappositiva dei settori.

Lo scienziato sta nel suo laboratorio.
Il politico sta al governo.
L’economista sta nella City.
Il panettiere sta davanti al forno.
Lo studente sta a scuola.

Ognuno ha il suo cassetto in cui stia comodo comodo, abbia le sue competenze e veda di non interferire con le attività degli altri! Stai al tuo posto, nella tua specialità, non invadere il mio campo.

Spesso rischiamo di vederla così. Ognuno ha il suo recinto, pressoché impermeabile a quello degli altri; quindi, marchiamo il territorio e nessuno osi oltrepassare il confine di proprietà. Mi verrebbe da dire che adottiamo una prospettiva digitale, dove tutto è netto, codice binario, limiti precisi, nessuna sbavatura.

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Big Bang e Creazione

Da un quaderno di recente pubblicazione a cura dell’Associazione Italiana Teilhard de Chardin, un estratto su un tema affascinante e di grande importanza per lo studio del rapporto tra scienza e fede.

La storia racconta che, poco tempo dopo il discorso tenuto da Papa Pacelli ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze, il 22 novembre 1951, il sacerdote-cosmologo Georges Lemaître chiese di avere un colloquio col Pontefice, in previsione del discorso che il Papa avrebbe tenuto in occasione dell’Assemblea dell’International Astronomical Union agli inizi di settembre del 1952.

Non si hanno testimonianze scritte sul contenuto del colloquio, reso possibile grazie all’intervento di Padre O’Connell, della Specola Vaticana e di Mons. Dell’Acqua, che lavorava presso la segreteria di Stato. Si può però ipotizzare che il sacerdote abbia offerto al Santo Padre consigli sul contenuto del discorso che egli avrebbe dovuto tenere e in relazione a quanto affermato dal Papa stesso nel precedente incontro con i membri della Pontificia Accademia delle Scienze[1].

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Siamo più delle macchine: Federico Faggin al Festival della Letteratura di Mantova

Riporto alcuni appunti riguardo all’incontro di Federico Faggin (che tutti conosciamo) intervistato da Elisabetta Tola (giornalista scientifica, conduttrice della trasmissione Radio3Scienza) sul tema “Siamo più delle macchine”. Il resoconto è intervallato da alcune mie considerazioni, evidenziate in corsivo.

L’incontro è iniziato con una presentazione biografica di Federico Faggin, a partire dalla sua infanzia a Vicenza, gli studi e le sue imprese alla Silicon Valley, che l’hanno portato a interrogarsi sul substrato fisico della consapevolezza. In seguito ad alcune cruciali esperienze spirituali, che hanno rigenerato il suo punto di vista sul rapporto tra realtà fisica e coscienza, Federico è stato costretto a rivedere completamente l’approccio teoretico con il quale aveva affrontato il problema della coscienza, trovando nel contempo la via per uscire dalla crisi di senso (propria dell’uomo moderno) nella quale il suo animo era imprigionato. In questo percorso ha creato una fondazione con lo scopo di promuovere la scienza della consapevolezza.


Il suo discorso parte dalla considerazione che nell’universo possono essere identificati due aspetti complementari: un aspetto creativo e un aspetto algoritmico. L’aspetto creativo si esprime nell’animo umano, che si impegna e riesce a risolvere i problemi che l’esistenza gli sottopone, e che inoltre si dedica allo sviluppo delle arti, alla ricerca della verità e della bellezza. La creatività non è propria solo dell’umano, ma di tutta la vita in genere. Ogni essere vivente, dal più semplice al più complesso, è impegnato a risolvere problemi che gli sottopone l’esistenza e, e come noi, lo fa in maniera creativa, secondo le capacità di cui è dotato. Di contro, l’aspetto algoritmico consiste in tutte quelle attività che riconosciamo come meccaniche e riconducibili a fenomeni deterministici. La ricerca scientifica si è concentrata sugli aspetti deterministici, e quindi abbiamo scoperto l’esistenza di leggi fisiche cui risponde la materia. Il punto è che anche la materia vivente risponde alle leggi fisiche, ma essa non è determinata solamente da queste: in essa è presente anche un aspetto creativo. Il problema della scienza (e anche della civiltà occidentale, ora globalizzata) consiste nell’aver perso di vista il valore “cosmico” dell’aspetto creativo della realtà.

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Il tempo della ricerca

Il metodo scientifico è un modo di studiare che richiede (anche)la consapevolezza del fatto che si sta maneggiando una conoscenza in continuo rimodellamento.

La ricerca scientifica nasce dalla curiosità umana di conoscere. Procede per interrogazioni. Spesso si sentono scienziati dire che sono molte di più le domande rispetto alle risposte e che ogni risultato apre sempre nuovi quesiti.

Il metodo scientifico è fondamentalmente probabilistico. La certezza non esiste, si hanno soltanto approssimazioni. I risultati sono sempre in riformulazione a partire dall’integrazione di nuovi dati, man mano che vengono validati da nuove ricerche.


A partire dai dati sperimentali, si delinea una teoria che crea una narrazione: quest’ultima rende quei dati più comprensibili e mentalmente meglio maneggiabili. Infatti, intuizione ed immaginazione giocano un ruolo essenziale nel provare a tracciare rappresentazioni del mondo.

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Che cosa manca al CICAP?

Applicare il metodo scientifico e portarne a frutto la conoscenza che ne deriva richiede una consapevolezza dell’umano nel suo complesso più profonda di quanto talvolta si creda.

Incuriosita da una pubblicità del CICAP Fest 2022 (il CICAP è il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), ho provato ad ascoltare una serie di video sul loro canale Youtube. Ho un interesse scientifico, mi piace approfondire e sono stuzzicata da chi ha come mandato del suo operare il portare alla luce le ragioni scientifiche a fronte di tanta confusione informativa.

Mi sono perciò avventurata in quei territori con molta attesa di trovare ragionamenti chiari che, tenendo conto della complessità del reale e della base probabilistica del conoscere scientifico, fossero capaci di orientare il pensiero verso una maggiore consapevolezza sugli argomenti trattati, mediante l’uso di affermazioni ben ponderate.

Non è però esattamente ciò che ho trovato.

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Cosmologia e religione

Da un quaderno di recente pubblicazione a cura dell’Associazione Italiana Teilhard de Chardin, estrapoliamo alcune considerazioni di carattere introduttivo utili per chi desidera approfondire questo affascinante tema.

Con lo straordinario sviluppo della scienza moderna gli ambiti in cui la fede è chiamata a confrontarsi con essa sono sempre più numerosi. Fra questi, già da diversi secoli, particolare fascino riveste il campo della cosmologia, a iniziare dalle teorie sull’origine dell’Universo, in particolare quella del Big Bang; il tema dell’origine dell’Universo e conseguentemente quello della comparsa della vita affascinano da sempre l’uomo.

Grande interesse per i rapporti fra scienze e fede rivestono poi i sistemi astronomici che, superando la concezione tolemaica, hanno portato alla visione moderna a partire dalla rivoluzione operata da quello copernicano (il passaggio dal sistema geocentrico a quello eliocentrico ha determinato l’insorgere di conflitti che hanno coinvolto importanti aspetti della fede, soprattutto in merito all’interpretazione dei testi biblici).

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Teologia del caso

Investigando il significato che diamo a questa parola, riusciamo davvero a comprendere molto riguardo che stato complessivo del nostro essere “decidiamo di creare”.

Cosa diciamo, cosa evochiamo veramente quando facciamo riferimento al “caso”? La parola com’è noto viene dal latino càdere, e di per sé indica semplicemente ciò che ac-cade, ciò che (ci) capita da un punto di vista fattuale. Oltre a questo però l’espressione non spiega nulla sul perché, cioè sul senso di un determinato fatto. Dire perciò che quell’uomo, uscendo di casa, “per caso” ha preso la pioggia non mi sta dicendo propriamente nulla sul significato di quell’evento. Casomai sta solo constatando che, non essendo la pioggia un fatto necessario o prevedibile con certezza, è piovuto proprio mentre quell’uomo usciva di casa sulla base di una minore o maggiore probabilità che accadesse. 

I vecchi paradigmi deterministi, sia religiosi che secolari, pretendevano di dare senso all’accadere umano affermandone l’unitarietà organica e necessaria, mettendo cioè in connessione i singoli eventi in un orizzonte più o meno rigido, di tipo metafisico prima (“Non cade foglia che Dio non voglia”) e immanente poi (Meccanicismo empirico). Con la crisi del pensiero medievale e oggi anche di quello moderno, la scienza esatta si è rivolta preminentemente a modelli di tipo probabilistico, affidando l’origine dell’accadere (che un tempo pretendeva di spiegare in modo certo) alla imprevedibilità (relativa) del cosiddetto “caso”. Il caso diventa così un concetto epistemologico centrale, vicario plenipotenziario del vecchio motore immobile dell’universo. Se la mattina mi alzo con la luna storta oppure se nello spazio esplode una stella, la causa ultima non è né Dio né una catena necessaria di fattori: è invece il caso.

Il problema però è che il caso è e resta un concetto descrittivo, non esplicativo. La natura casuale del cosmo, agli occhi dell’uomo post-moderno, dice solo che non abbiamo più alcun modo di prevedere, controllare o fondare razionalmente il senso (quindi l’origine e la causa ultima) degli eventi visibili. Detto in termini metafisici, il caso è la causa prima del reale ridotta a eterno punto interrogativo, portato in quanto tale a coscienza storica. Il nostro continuo appellarci al “caso” è perciò un tappabuchi in senso tecnico, un’abdicazione mascherata a volere o potere fornire un’autentica comprensione di senso dei fenomeni.
Ma il bello deve ancora venire.

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