Interessantissimo, nei temi trattati, che fungono anche da riepilogo della specificità del percorso Darsi Pace nelle sue implicazioni culturali e nelle sue premesse teoretiche: conciso ma molto rigoroso, mi pare.
Corpo
La definizione di un sistema di riferimento è qualcosa di più di un mero artificio tecnico, di una decisione per esperti. E’ qualcosa che informa profondamente il reale, ne definisce ed istituisce una modalità descrittiva, e perciò stesso percettiva.
La scienza nella sua incarnazione più cartesiana si rende forte della sua capacità di astrazione ed interviene nel mondo creato attraverso un principio razionale di ordine. Questo principio è ben esemplificato nella definizione stessa del sistema di assi cartesiani — concetto che è ben noto a qualsiasi giovane studente — con il quale impariamo a prendere profonda familiarità nel tempo, a interpretare e quasi plasmare la realtà.
E’ uno strumento utilissimo, poiché ci permette di creare un ordine spaziale dentro la realtà, in modo da renderla quantificabile (la posizione ogni cosa è definita dalle sue coordinate nello spazio cartesiano) e quindi interpretabile. Al tempo stesso, però, è qualcosa che però è entrata così radicalmente nella nostra modalità percettiva che rischia di farci perdere di vista la sua reale natura, il fatto che è appena un modello.
Un modello del reale non è il reale. Qui spesso naufraghiamo, perdiamo i tratti del problema, semplifichiamo in maniera probabilmente illegittima.
Perché la scienza, a volte, semplifica ed astrae in modo molto radicale. E ci allontaniamo dal reale, rientrando in una specifica modalità percettiva, a torto scambiata come percezione totale del tutto. Così ne annulliamo la sua portata perpetuamente rivoluzionaria, la sua carica esplosiva di mistero.
Il tutto è sempre molto più complesso di quanto vogliamo pensare di lui, ci sfugge da ogni lato, è irriducibile ad ogni schema di pensiero. Gli assi cartesiani ci portano a pensare ad una geometria imperturbabile rispetto a quanto avviene al suo interno,
Il bello è che è una percezione errata. Lo dice, ormai da tempo, perfino la scienza stessa: lo spazio è curvo, lo spazio è incurvato dagli oggetti al suo interno. Lo spazio è tutto tranne che esteso all’infinito e piatto. Lo spazio partecipa irresistibilmente di quanto avviene al suo interno.
Le cose sono curve, peraltro. La nostra esperienza, fino dalla nascita, si nutre di superfici curve. Descriverle nel sistema cartesiano di assi ortogonali è una gran fatica, è necessario ricorrere ad una gran quantità di informazioni. E’ un sistema inadatto al reale, è adatto piuttosto ad una sua arbitraria astrazione. Ritengo che per un ente biologico, la curva sia la ancora nozione più evidente, più elementare.
La curva parla del corpo (ecco la parola di questa volta), recupera la corporeità che una malintesa idea di razionalità scientifica ci ha sottratto, lasciandoci più freddi e più poveri. Il corpo è la struttura fondamentale, perché è l’ambiente percettivo che ci accompagna nel viaggio sulla Terra. Posso astrarmi dal corpo fino ad un certo punto, poi devo comunque ritornare a questo.
Il corpo. Le sue proporzioni, le dimensioni. Dovremmo capire ed abitare una geometria del corpo, molto più di quanto facciamo di solito. Riabituarci ad un pensiero complesso, proprio come quello del corpo. Alieno da semplici formalizzazioni. Con il corpo percepisco, con il corpo capisco.
Il corpo umano è la Cattedrale più grande che Dio abbia mai costruito (Christiaan Barnard, Curtis Bill Pepper, Una vita)
Verrebbe da dire, anzi, da utilizzare il corpo come sistema geometrico fondamentale. Il corpo umano è una vera cattedrale, che informa profondamente la modalità con cui percepiamo, che definisce un dentro e un fuori, un me stesso e un altro, un qui ed un altrove. Dal punto di vista più specifico, una qualsiasi tecnica di semplificazione dei dati, mostrerebbe chiaramente come un corpo non viene descritto bene in un sistema di assi ortogonali. Vive un’altra realtà, dove l’astrazione non regna incontrastata, come nei nostri pensieri, così spesso in fuga rispetto alla realtà, al qui ed ora.
Non si tratta di far guerra alla geometria, non si tratta nemmeno di indugiare troppo sul fatto che la nostra mente è ancora governata ed informata da modelli scientifici ottocenteschi, è culturalmente ed invariabilmente pre-relativistica e pre-quantistica. Tutto vero, ma non coglie il punto.
Si tratta di ritornare ad una geometria del corpo, complessa ed articolata. Ad un pensiero del corpo, che dimora nell’ascolto delle sensazioni, e non nelle teorizzazioni astratte. E’ una rivoluzione ancora tutta da compiere.
Da compiere, ma non da inventare, probabilmente. Ragionando intorno alla dignità del corpo, ricercandone una sponda di sicurezza ultima, incorruttibile, incontro quel senso del Corpo, per noi quasi imbarazzante, che è quello che secondo la nostra spiritualità, è il luogo che ha scelto l’Essere per manifestarsi.
Quella stessa croce che una parte della nostra sensibilità avverte a volte come antica, è invece una cosa perpetuamente modernissima, perché unisce, sovrappone ad un sistema di assi cartesiani una dinamica ed estetica del corpo, perché fonde la razionalità geometrica alla esistenzialità e complessità biologica, alla passione (e Passione) umanissima e trascendente, e al senso profondo dell’Essere.
E al suo innegabile carico di mistero.
La causa mi fa effetto
Premo l’interruttore e la luce si accende. Anche la sintassi sembra dirlo. Bastano due coordinate legate da una “e” e il gioco è fatto. Eccoci nella trappola di un pensiero che usa l’euristica della causalità così frequentemente da non aver più neanche necessità di esplicitarla. È sufficiente la congiunzione ”e”, possiamo fare a meno delle più classiche “perché, poiché, siccome, in quanto”.
Pare proprio che abbiamo un disperato bisogno di trovare una causa, e che sia la più diretta possibile, per ogni accadimento nella nostra vita. Il metodo scientifico in questo è maestro. Si studiano i fenomeni e si va immediatamente alla ricerca di ciò che li ha provocati. In medicina, l’eziologia è un aspetto fondamentale per la formulazione di una diagnosi.
Questa ossessione per la causalità, però, rischia l’abuso, facendoci vedere anche ciò che non c’è. Rischiamo cioè di irrigidire il pensiero, di incanalarlo dentro sentieri troppo stretti, senza più permetterci lo sguardo ampio di chi apprezza il panorama. Così di causa in causa fino alla Causa Prima. E anche Dio è finito in trappola. Appunto lo chiamiamo in causa per ogni avvenimento che ci accade: non cade foglia che Dio non voglia, dice il vecchio adagio. Tutto diventa direttamente collegato alla volontà divina, nel bene e nel male.
Forse abbiamo bisogno di usare “unità di misura” diverse a seconda dell’ordine di grandezza, anche perché la Vita nel suo complesso non è la semplice somma dei singoli eventi. La Vita pare organizzata per livelli di cui uno non è immediatamente deducibile dai precedente; il grado di complessità superiore non è l’esito della giustapposizione addizionale degli elementi che compongono il livello organizzativo inferiore. L’emersione della coscienza non pare semplicemente l’aumento quantitativo di abbozzi comparsi nei primati. La struttura degli organismi pluricellulari non scaturisce direttamente dalla struttura unicellulare: la sequoia non la deduco da Acetabularia. Dalla struttura subatomica non ricavo immediatamente le caratteristiche della materia per come la sperimentiamo al nostro ordine di grandezza. C’è un’opera di sintesi che richiede un salto quantico.
La causalità è contingente e vincolante e mi pare riesca a descrivere le relazioni all’interno degli elementi di uno stesso livello di complessità, in parte anche tra un livello e l’altro, ma ciò che fa sintesi non è spiegabile soltanto in termini di causalità. Se lo fosse, saremmo dentro un grande meccano in cui si assemblano i pezzi a partire da un progetto esterno e già definito in partenza, ma la nostra esperienza di vita non ci dice questo. Siamo l’esito di un apprendimento continuo che guarda all’altro/Altro per trovare la propria immagine, fin dal grembo materno. È una questione di relazioni sempre in divenire, in raffinamento costante, di carezze e di affondi nella nostra plastilina.
Concentrati alla caccia della causa e della Causa Prima indietreggiamo per trovare l’inizio: lo fa lo scienziato, è il suo compito, l’avanzamento tecnologico gli consente di essere sempre più preciso su quando ha avuto inizio il nostro Universo, la vita sulla Terra, la storia di Homo sapiens.
Ognuno di noi ha però una sete inestinguibile di conoscere l’origine, propria come del Tutto, di conoscere Ciò che sostiene la Vita, adesso e poi adesso e ancora adesso, nel presente eterno.
La Realtà non proviene (soltanto) da una Causa Prima, ma da Qualcosa di molto più flessibile e morbido, da un pensiero che la pensa, da un’intenzione che la regge, da una parola che la genera.
L’intenzione è univocamente buona, il Padre è buono, l’Unico che può essere chiamato tale, senza ambiguità. L’intenzione buona alimenta il pensiero/parola creativo, la generazione è ariosa e dà vita ad un altro-da-Sé che proprio perché possa essere accreditato come altro deve essere posto a distanza di sicurezza e per dargli dignità piena gli deve essere riconosciuta la libertà. Ogni tipo di creatura ha il suo grado di libertà e per noi umani la dinamica ha i tratti dell’apprendimento.
Il gioco sta nell’imparare a trovare la giusta distanza, che vuol dire abitare la massima differenza dal Creatore, e allo stesso tempo, vivere con Lui in massima comunione, che è poi il movimento della relazionalità che lo Spirito esprime. È questo l’insegnamento che possiamo trarre dal mito con cui comincia il libro della Genesi.
C’è un mondo inaugurato ad ogni istante dalla buona intenzione del Padre, promesso come compiuto in ogni istante nel lavoro di rimodellamento di sé che ci conduce, ad ogni passaggio, un po’ più vicino al vero noi stessi, a ciò che stiamo da sempre diventando. Un lavoro di cesello, senza fine, e la morte porterà un cambiamento di stato, un ordine superiore di complessità, ancora una volta indeducibile dal grado attuale, per sperimentare chissà quali eccitanti nuovi percorsi di conoscenza.
Presente anche su http://www.darsipace.it/2016/09/29/la-causa-mi-fa-effetto/
Un’AltraScienza
C’è la scienza come la conosciamo oggi o, molte volte, come non la conosciamo, proprio perché non ne abbiamo il tempo, la possibilità o non ci passa proprio per la testa neanche di chiederci se ci riguardi o meno. Sembra cosa molto lontana dal quotidiano!
… appena due frasi al telegiornale nell’occasione di un’eclissi che potrà essere osservata qua o là, da vari punti nel mondo. La notizia di una qualche scoperta scientifica lanciata lì in modo fugace. Quanti, Onde, Neutroni, Neutrini … ma che saranno mai? Poi la meravigliosa notizia che la ricerca scientifica sta giungendo a capire come curare quella terribile malattia, le sperimentazioni, però annunciano: inizieranno … quando sarò già morta! e accade così che decido: della scienza non mi interessa più niente!
C’è poi un’altra scienza, ed è molto antica. Direi quasi primordiale. Ed è la spinta a Conoscere che ha l’Essere Umano per sua natura e quando vive in Armonia con la Natura ed il Tutto.
Il Tutto vuole dire anche rendersi conto che, mentre mangio le patatine fritte al fast-food, so che Marte, il pianeta, è nello stesso cielo che ogni sera se guardo a naso in su vedo da casa mia. Che il Sole che domani mattina vedrò uscendo da casa è una stella “sospesa” in quello stesso cielo che ho visto ieri sera.
Il Tutto sono anche le cose che con occhi umani non riesco a vedere ma che esistono. Sono fatte di materia più sottile. E’ quel qualcosa che mi fa sentire un tuffo al cuore quando vivo un sentimento inaspettato, è lo slancio che mi spinge ad un’azione voluta ed il pensiero quando ancora prima, traccia quell’azione. E’ quella carezza misteriosa che sento sulla guancia, quando all’improvviso penso ad un caro che non c’è più.
… di tutte le cose Visibili ed Invisibili … è stato detto molto tempo fa.
Questa scienza stimola all’attenzione ed all’osservazione partendo dall’interno del proprio sé. Da lì inizia l’avventura che, se vuoi non finirà mai. Non servono né telescopi, né provette o alambicchi di vario genere, neppure espressioni matematiche o … navi spaziali.
E perché non mettere insieme questa scienza antica, insita naturalmente nell’essere umano ed unirla alla scienza moderna, pure meravigliosa, grazie alla quale abbiamo fatto un grande balzo in avanti in tanti e molteplici campi?
La scienza moderna che in questo tempo è stata penalizzata dalla privazione cioè delle parti più “sottili” di un sentire non più riconosciuto come parte integrante dell’essere umano che si dispone a ricerche scientifiche, uno scienziato appunto, uomo o donna che sia, costretto a tenere ufficialmente cuore, anima e spirito in stand-by perché altrimenti, si crede, ne va della qualità della ricerca!
Non sarà semmai il contrario?
… posso provare ad immaginare che ogni scienziato quando fa la sua ricerca, studia, osserva e per il solo fatto che già osserva con attenzione ed “entra” in questo modo nell’oggetto della cosa osservata … va da sé che è già nel cuore, nello spirito di ciò che osserva e ci arriva attraverso il proprio cuore, il proprio spirito.
Diversamente non giungerebbe a nessuna scoperta.
Non è forse una scoperta, di qualsiasi genere sia, un cogliere un bagliore d’intuizione? Quel lampo di luce che arriva mentre magari stai osservando quella cosa da giorni, forse mesi, magari anni e con la ferma intenzione di conoscere, comprendere e ci credi. Sai che c’è qualcosa che è celato alla ragione così razionale e, appena la molli, la ragione, quella ferma intenzione di conoscere apre la porta all’intuizione e per un istante puoi Vedere! … se uno è sveglio!!! Altrimenti penserai che è stato solo un mero sogno, quasi un’allucinazione e dimentichi. Che peccato.
Penso che è necessario riempire la nostra sete naturale di Conoscere, non dimenticandoci che ogni esperienza fatta nell’intento di una ricerca, nello slancio cioè a conoscere con consapevolezza e questo diventa una ricchezza per ognuno di noi, nelle nostre storie personali e diventiamo noi stessi ricchezza anche per chi ci avvicina. Primi i nostri cari.
In questo declino umano ingrigito, ognuno di noi che oggi si sente quasi disintegrato, quasi non più né uomo, né donna e che guardandosi in questo modo, quasi un dissociato nel sé e in sé e ciò spesso accade davanti agli occhi sgomenti dei più giovani che quasi dai primi passi nel mondo si accorgono di quanto tutto intorno a loro sia spezzato, caotico e senza un senso e prima di tutto lo vedono nei propri genitori.
Ma poi ci si adatta! L’essere umano è famoso per capacità di adattamento, in ogni documentario sull’essere umano ne viene detto. In verità io penso accada qualcosa di diverso dall’adattamento.
L’essere umano a mio vedere, non si adatta per niente, bensì si irrigidisce.
Nei gruppi di lavoro su di sé, in Darsi Pace ben presto ce ne accorgiamo di tanta rigidità. Di come tale cosa ci permetta di vedere solo piccoli spicchi di realtà. A volte molto, molto piccoli. Un po’ come quando ho il torcicollo, più rigida e dolente sono, più la visione è limitata a ciò che è relegato ad un piccolo ed esclusivo raggio visivo … davanti alla punta del mio naso!!
L’essere umano si cristallizza nella posizione che trova il più possibile sopportabile tra le varie opzioni caotiche e prive di senso che incontra nel suo percorso e rimane in quella posizione lì, in genere, per tutta la vita, senza muovere un dito e quasi senza respirare! Farlo fa troppo male, sai quanti sentimenti, quante emozioni si muovono se respiri un po’ di più !?! Dio solo sa che cosa mi può succedere, potrei morire di dolore … preferisco sì, restare ferma … e così rimango lì, cristallizzata statua di sale amaro.
A meno che, un qualche bel giorno, in un momento di presunta “debolezza”, un soffio di vento spalanchi porte e finestre e nella stanza asfittica entra un po’ d’aria fresca!
Se in quel momento questo pezzo di marmo e sale, dalla forma esteriore umana, si abbandona a quel fresco soffio di vento primaverile … tutto cambia, l’essere umano può nascere a nuova vita, pure se ha 97 anni e 5 mesi!
Ognuno può ricominciare da sé, in sè. Uno dei primi passi è ri-ascoltare quella voglia di Conoscere. Conoscere me stessa, me stesso. Scoprire cosa conservo celato nei cristalli di sale amaro e che, quando lascio che l’acqua, l’aria fresca di una bella meditazione mi accarezzi, i cristalli iniziano a sciogliersi e se mi abbandono con fiducia e nel sentire che sono acqua e sono aria, sono terra e sono pure fuoco, allora sono nel tutto.
Al Tutto non importa se cucino bene o male, di che ceto sono o se so “fare soldi”.
Il Tutto è Unito in una sola parola. Tutto
E sentirmi nel tutto, immersa nella Vita del Tutto, mi dà un gran senso di benessere. Ogni elemento che vive nel tutto, trova il suo posto, acquisisce un senso nel disegno dell’insieme, perfino un io “moderno” spezzato al suo interno dolorosamente, può trovare qui degnamente il proprio posto.
Il gruppo di galassie a cui appartiene la Via Lattea nella quale viviamo, si chiama Gruppo Locale. Un nome che ha il sapore quasi di un’intimità creata da nuclei di esseri umani uniti in uno scopo comune e nello stesso luogo …
La prima volta che ho sentito questo nome, Gruppo Locale appunto, ho associato il nome a quanto appena scritto, mai avrei pensato ad un gruppo di galassie compresa quella in cui conduco la mia vita terrena.
Chissà se gli studiosi, quando hanno scelto questo nome, hanno avuto un pensiero simile. In quanto esseri umani inseriti in questo -Tutto -universale, cosmico. Cosa che, generalmente, ci sfugge nel nostro umano quotidiano vivere sul pianeta Terra.
In un universo, quasi tra passato e futuro, a vivere un presente che poco conosciamo, proprio perché non conosciamo noi stessi in quanto esseri umani connessi ad ogni cosa.
Altrascienza può significare una ricerca al ritorno ad un naturale ri-contattare il senso dell’Essere Umano semplicemente ri-conoscendone l’importanza in tali connessioni. In quanto parte integrante.
Da questa consapevolezza re-iniziamo a Conoscere.
Il Cuore di ognuno pulsa all’unisono con il Cuore della Terra e tutti questi Cuori con tutto l’Universo, ciò che dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande esiste, dall’invisibile al visibile.
Posso provare ad immaginare che questo significhi Vita e Conoscere allora è ricchezza per ognuno!
La bellezza, non le frontiere
Capita. Forse perché ho una parte del cervello che è sempre lì, sempre a caccia di percezioni estetiche interessanti, gradevoli (ehm, non è un modo elegante per dire “guardare le ragazze”, o forse sì…). No, davvero.
Capita.
Così mi accingo un po’ timoroso (leggi, fin troppo consapevole della propria ignoranza in materia) ad introdurmi alla tecnica delle random forest, per una necessità legata al lavoro sulla pipeline di riduzione dati del satellite GAIA. E mi imbatto tra l’altro nella pagina di wikipedia dove compare questa.
E già non so bene perché compare qui, e non in una galleria di arte astratta. Già mi colpisce per l’impatto visivo, e non sarebbe necessaria altra spiegazione.
E’ una immagine bella. Trasmette qualcosa, anche non sapendone proprio nulla della modalità con la quale è stata generata.
Il che forse è anche un bene, perché la didascalia che appare non risulta essere delle più esplicative, perlomeno ai comuni mortali:
Una visualizzazione dello spazio-modello della Foresta casuale dopo un allenamento con i dati
Ecco. Io sono abbastanza certo che — a meno che non siate illuminati statistici o esperti in reti neurali — questa frase vi lasci più o meno nel grado di comprensione che avevate prima (ovvero, praticamente pari a zero).
E va bene così.
Perché nonostante tutto ve la potete godere, questa immagine.
Perché la bellezza è così, non richiede spiegazioni, non necessita di prerequisiti.
Che è una sua prerogativa che io trovo, francamente, stupenda. La bellezza ha un suo canale privilegiato, è evidente. Un canale che salta tutti gli steccati percettivi e le barriere del ragionamento, e arriva direttamente al cuore.
Questa cosa non finirà mai di stupirmi, di meravigliarmi.
Se poi però vi piace comprendere come è nata questa immagine? Se siete curiosi di capire cosa ha generato questi colori, in splendida concordanza con le tendenze di certa arte moderna? Indebolite forse la sua bellezza, con la vostra curiosità di capire?
Niente affatto. Poiché arte e scienza si parlano, la bellezza si riversa da una all’altra, senza soluzione di continuità. E comprendere aumenta la bellezza: non lo dico io, lo dice un certo Feynman, sicuramente uno dei più grandi fisici che abbiamo avuto nei tempi recenti. Ascoltate:
E’ davvero evidente che per la bellezza non vi sono queste insipide frontiere e queste ingrate catalogazioni, nelle quali troppe volte facciamo impigrire la nostra visione del mondo.
Esiste dunque una altra scienza — che poi è anche (guarda un po’) la vera scienza.
Quella che fa della meraviglia di fronte al mondo la sua vera ed inesausta carica propulsiva. Quella che non mette frontiere, ma ricerca connessioni.
Quella che si approccia in modo relazionale a tutto ciò che esiste nel mondo, come pure ad ogni espressione culturale ed anche spirituale.
Quella che, in poche parole, contribuisce a farci essere uomini.