La danza intima del reale

Sempre più, nell’epoca presente, ci interroghiamo sul nostro rapporto con il cosmo. E’ probabilmente un segno dei tempi. Sempre meno accettiamo di vivere in modo non cosciente appiattiti a livello terra, senza chiederci cosa ci facciamo qui, come siamo legati al turbinoso avvolgersi degli astri e all’espandersi accelerato degli spazi siderali.

Di fatto, la nozione di universo che si espande – relativamente recente nella storia della cosmologia – ha sbalzato fuori l’umanità dagli scenari troppo consolidati che le giungevano acriticamente addosso dai secoli passati, per rinnovare le domande ultime, e potenzialmente per chiamare alla partecipazione attiva ad una avventura che probabilmente ancora non abbiamo disvelato, nei suoi caratteri più emozionanti.

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La tua strada, verso le stelle

Quinta ed ultima puntata. Dopo aver risalito la nostra “scala di meraviglia” fino alle stelle, ci lasciamo con qualche considerazione conclusiva, come un piccolo “piano di lavoro” perché quel che abbiamo visto e conosciuto insieme, ci serva per il nostro cammino, nel cosmo.

Così scrive la giovanissima Marika, ”In  un punto  sparso dell’universo  ci siamo io e le mie  possibilità: ogni mia molecola  è unica, capiente di speranza e  saggezza, voglio incamminarmi, fare  un passo in avanti e trovare la mia  luce. Vari stadi di conoscenza evoluta  mi attendono e le stelle aspettano il mio  arrivo.” Frasi di questo tipo aprono davvero la strada ad una nuova percezione del cosmo. Nuova ed antichissima, dove il punto di attrazione, la polarità dominante, non è più il muoversi minaccioso e misterioso di giganteschi blocchi di materia, lo scontro e l’esplosione di astri distanti, il furibondo consumarsi di galassie in uno scenario violento ed incomprensibile, ma è l’universo “amico” e morbido, che lascia spazio, si lascia finalmente capire, si lascia osservare, si svela dolcemente ad uno sguardo delicato, soave. “L’io è l’autocoscienza del cosmo, cioè tutta la realtà è fatta per l’uomo” ci diceva don Luigi Giussani già alcuni anni fa.

Arriviamo così agli ultimi passi, agli ultimi gradini di questa scala del fantastico che abbiamo rozzamente delineato in questi interventi. Arriviamo cioè a confrontarci con il tutto, con la stoffa ultima dell’Universo.

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Un mondo, in costruzione

Quarta puntata. Percorrendo la nostra scala di quel mondo “fantastico” che è esattamente il reale, dopo aver parlato dei pianeti, ora possiamo e dobbiamo giungere fino lì, fino alle stelle. Per scoprire, in modo forse sorprendente, in quale misura dobbiamo proprio a loro quel che siamo, e come siamo…

Un’altra avventura è davvero ripartita in grande stile in questi anni, ed è quella della conoscenza delle stelle, questi oggetti celesti così peculiari (semplici a descriversi nel funzionamento di base e complicatissimi nei dettagli), e così ubiqui nell’Universo. “Dio mio è pieno di stelle!” esclama David Bowman nel capolavoro di Stanley Kubrik, “2001 Odissea nello Spazio” di fronte alla contemplazione della volta celeste. Ma già Dante stesso, molti secoli prima della cinematografia, ricorreva in fondo allo stesso “effetto” per narrare il suo ritorno al mondo naturale, dopo il suo viaggio ultraterreno nelle profondità dell’Inferno: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”

L’oggetto “stella” pertanto non riguarda appena gli scienziati, ma tutti  quegli uomini, presenti e completi, che cercano di trovarsi pronti alla sfida conoscitiva del nuovo millennio. Non fosse altro perché il dato di partenza, il banalissimo dato numerico, è che di stelle ce ne sono veramente tante. Le stime, ovviamente, non sono facili, e comportano una serie di assunzioni sullo sviluppo e la geometria dell’Universo, ma potremmo azzardare, con ragionevoli assunzioni, un numero dell’ordine di trentamila miliardi di miliardi. L’imponenza di questa cifra ci istruisce, già da sé stessa,  sull’importanza del “fattore stella”. 

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Solo il fantastico, è reale

Terza puntata. Dopo aver speso qualche parola sul tipo di universo in cui ci troviamo a vivere, e come si può interpretare anche il dato scientifico più aggiornato perché ci torni a “parlare” di nuovo, ora iniziamo a percorrere una suggestiva e misteriosa strada, che sembra capace di portarci, se la vogliamo seguire davvero, fino alle lontane stelle…

Come avverte un poeta contemporaneo rumeno, Valeriu Butulescu, “La poesia è nata la notte in cui l’uomo ha iniziato a contemplare la luna, consapevole del fatto che non era commestibile”. Vi è dunque, all’origine dell’atto poetico, un primordiale atto di osservazione, di contemplazione, del cielo. Da qui in avanti la vera scienza non può che nutrirsi di meraviglia: il ricercatore ha bisogno non solo di dati e tabelle, proiezioni e statistiche, ma di attingere continuamente alla categoria del fantastico, per mantenere la mente aperta, ricettiva a quei segnali dall’universo, che altrimenti perderebbe. 

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Un universo in corsa

Seconda puntata. Dopo aver realizzato come il modo “moderno” di guardare al cosmo non possa più “far fuori” la parte irriducibile di mistero che anzi risulta necessaria per accrescere il fascino dell’indagine stessa, ora iniziamo a vedere meglio di che tipo di universo ci stiamo occupando.

Essere usciti da una concezione di universo “statico”, pieno di stagnanti certezze ma ultimamente vuoto di mistero, non è certo senza conseguenze. La nozione di un cosmo in espansione ha meritoriamente relegato alla storia delle idee, proprio quel paradigma di universo stazionario, che per molto tempo ha preso spazio nei testi di astronomia e cosmologia, e che purtroppo per tanta parte ancora occupa la nostra mente, informa e definisce il nostro stesso modo di ragionare.

Il Big Bang, questa sorta di esuberante inizio del “tutto” (certo, i fisici avvertono che non si è trattato propriamente di una esplosione, ma possiamo pensarlo un po’ come tale), introduce un irreversibile dinamismo nell’armonia delle sfere, e legittima una visione storica, abilita un senso di sviluppo che è avvitato nel tempo, imperniato nel divenire, nella trasformazione progressiva, nel non essere mai uguale a sé stessi.

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Conoscenza e mistero

Sono tempi nuovi: il nuovo “urge” in noi, nelle nostre vite personali e nella vita sociale. Lo vediamo dovunque, perfino nelle tante irrequietezze politiche di questi mesi. Dove tutto viene rimesso in discussione, anche scenari che per anni e anni sono stati considerati acquisiti. Tutto cambia, tutto si modifica costantemente. Come è dunque diversa questa percezione, tutta “moderna”, da quanto si pensava fino a pochi decenni fa, pervasi ancora da un “modo di ragionare” che ormai sentiamo come lontanissimo! E nella scienza,  tutto questo fermento si avverte, allo stesso modo. 

”Probabilmente ci stiamo avvicinando al limite di tutto ciò che è possibile conoscere sull’astronomia.” Questa frase si deve a Simon Newcomb, dotto matematico ed astronomo dell’ottocento, e sintetizza bene una posizione che decisamente, non ci appartiene più. Davvero si era arrivati, alla fine del diciannovesimo secolo, ad un momento in cui si riteneva di aver compreso la quasi totalità delle dinamiche di funzionamento del mondo fisico. Una comprensione – va detto – rigidamente meccanicistica, specchio esatto e puntuale del modo di concepire il mondo ed i rapporti che si aveva in quell’epoca “dei lumi”.

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Planck, la fede e il mondo fisico

Premio Nobel per la fisica, Max Planck fu uno scienziato a cui dobbiamo moltissimo, in particolar modo per le sue intuizioni sulla teoria della meccanica quantistica. Anche appena tentare un profilo sommario della sua figura e dell’importanza che riveste per la fisica del Novecento, sarebbe soverchiante per le nostre forze e occuperebbe sicuramente molto spazio. Ci solleva pensare che, in fondo, non è nostro compito.

Qui, come di nostra abitudine, procediamo appena a piccoli passi (come ci insegna il bellissimo Salmo 130, non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze..) e vogliamo perciò focalizzarci specificamente su un suo testo del 1930, lasciando (per ora) agli approfondimenti personali il piacere di riscoprire la sua interessante figura di scienziato e sopratutto di uomo del nostro tempo.

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Coscienza Cosmica

Avete la percezione che adesso siamo nel cosmo? chiede un po’ provocatoriamente un Marco Guzzi in ottima forma, nell’estratto che vi propongo e che proviene da un incontro del percorso Darsi Pace.

E il resto no, non ve lo anticipo: per non rovinarvi la visione.

Vi dirò solo che ci sono anche momenti di simpatico cabaret. Ma attenzione, non è semplice intrattenimento, appare piuttosto una trovata geniale – quasi un Koan buddista – per farci sbalzare fuori dagli strati arrotolati ed opachi dell’abitudine, farci davvero guardare  – almeno per un istante – con occhi cosmici.

Seriamente. Abbiamo la percezione che stiamo sfrecciando – ora – tra le stelle ad una velocità pazzesca, in rotazione in un ambiente vastissimo come la Galassia, che contiene centinaia di miliardi di stelle?

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Perché diffidiamo della scienza?

Le recenti polemiche sulla necessità della vaccinazione obbligatoria, che hanno trovato appoggio e risonanza, per certi versi, anche in uomini politici influenti (allargando se possibile la forchetta tra la scienza ufficiale e il sentire comune), lo hanno mostrato molto bene: siamo in una epoca in cui le bolle di diffidenza verso le acquisizione del pensiero scientifico, e più ancora, verso il suo stesso metodo, si sono fatte più forti, più spavalde. Hanno, in un certo modo, ripreso vigore, sentendosi anche, come dire, autorevolmente confortate.

Se per certi versi questo necessita, in taluni casi pratici, di alcune azioni urgenti (garantire la copertura vaccinale appare comunque indispensabile, anche a detta della maggior parte dei perplessi), è anche necessario, in sedi come questa, rimettersi davanti al problema senza infingimenti, per comprendere come si sia arrivati a questo punto, e come lavorare per migliorare la situazione, per mitigare questa frattura, questa scissione, che non porta, come vediamo, alcun conforto, non reca percepibili vantaggi.

Insomma, oltre l’urgenza, è necessaria la riflessione, l’elaborazione.

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Verso un cosmo raccontabile

Pubblichiamo la seconda parte del viaggio di riflessione tra i social media e una nuova idea della scienza (la prima è reperibile qui).  Come già scritto, il testo  prende le mosse da un intervento dello scrivente presso la sede di Frascati Poesia, tenuto in data 10 aprile 2018. 

L’uomo. Ecco il grande escluso dalle moderne teorie cosmologiche. Ecco il grande furto a cui urgentemente porre riparo: c’è da riconsegnare il cosmo all’uomo. Dare all’uomo – ad ogni uomo – un modello di universo comprensibile, pensabile, lavorabile. Raccontabile, anche nei social. E soprattutto, portatore di senso.

La partita è fondamentale: un cosmo non raccontabile è un cosmo in cui il disagio di non poter tracciare una storia diventa angoscia, timore del nulla, si veste di senso di impotenza, si colora di paura dell’ignoto. Come da piccoli, la voce del papà e della mamma scavavano un percorso rassicurante nel buio della notte, confortando il nostro cuore impaurito, così l’umanità è sempre “piccola” – ovvero sempre in crescita – e desiderosa di ricavare un sentiero nel cosmo: per vedere il buio non più come oscurità, ma come un silenzio trattenuto, delicatamente trapuntato di stelle. Come scrivono Leonardo Boff e Mark Hataway, nel volume Il Tao della Liberazione,

“abbiamo smarrito una narrazione onnicomprensiva che ci dia l’impressione di avere un posto nel mondo. L’universo è diventato un luogo freddo e ostile, in cui dobbiamo lottare per sopravvivere e guadagnarci un rifugio in mezzo a tutta l’insensatezza del mondo”

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