Gran parte della scienza attuale vive ancora di presupposti indiscussi e dogmaticamente accolti, forse inconsciamente, ritenendo di essere l’unica metodologia in grado di condurre a vera e propria conoscenza sulla natura e sull’uomo. Il resto, filosofia, sapienza popolare, intuizioni mistiche, tradizioni religiose, non sarebbero altro che vuota chiacchiera o tollerabili opinioni personali. Qualcosa di incapace di generare conoscenza e soprattutto di migliorare le condizioni di benessere per l’essere umano e per la società.
La scienza moderna è ancora troppo identificata con una visione positivistica della scienza. Si ritiene come il gradino ultimo e vero della conoscenza. I precedenti stadi, secondo la famosa tripartizione di Auguste Comte, quello mitico-teologico e poi quello filosofico-metafisico, sarebbero semplicemente da abbandonare e da relegare in una sorta di infantilismo conoscitivo, fantasticherie leggendarie da altri tempi.
A questa visione conflittuale dei saperi, ha di certo contribuito un clima sociale, culturale e religioso diffuso, basato sulla difesa dei privilegi acquisiti per la paura di essere sopraffatti dal nuovo emergente. Le strutture di potere ecclesiastico e teologico del tempo hanno contribuito ad amplificare ancora di più quel conflitto, nello specifico tra teologia e scienza moderna. Lo ricordava, alle soglie del terzo millennio, la Commissione Teologica Internazionale, il cui presidente era l’allora cardinale Joseph Ratzinger. Nel documento Memoria e riconciliazione. La Chiesa e le colpe del passato, si legge infatti che
«Oltre le colpe contro l’unità, il Concilio segnala altri episodi negativi del passato, in cui i cristiani hanno avuto una responsabilità. Così, “deplora certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancano nemmeno tra i cristiani”, che hanno potuto far pensare a un’opposizione fra la scienza e la fede».
Lo sviluppo ulteriore delle scienze moderne non ha soltanto acuito le distanze dalla filosofia e dalla teologia, ma ha contribuito a creare distanze e separazioni anche al suo interno. La situazione attuale del nostro sistema universitario ne porta tutte le conseguenze nefaste.
Da un lato, l’eccesso delle settorializzazioni e delle specializzazioni dei vari ambiti scientifici ha condotto ad una visione sempre più parziale e localizzata del sapere, perdendo spesso di vista l’originario orizzonte sapienziale del vivere e diffondendo una sorta di incomunicabilità tra scienziati di aree distinte: tra matematici e fisici, tra fisici e chimici, tra informatici e biologici, ecc.
Dall’altro lato, la separazione delle scienze in aree e settori specifici, ha fatto sì che un giovane ricercatore può “sopravvivere” in questo sistema soltanto se pienamente identificato nel proprio settore specialistico. L’interdisciplinarietà è, in tal modo, di fatto, considerata ancora una perdita di tempo; mentre ciò che oggi è denominata come transdisciplinarietà (lo sguardo sapienziale che spinge verso l’unificazione delle discipline) sembra non avere alcun posto tra i luoghi del sapere accademico.
Per questo attendiamo con impazienza il manifestarsi di un’altra Scienza, più aperta alla conoscenza del tutto, più in relazione con la realtà che ci circonda, capace di riconoscere la distanza di ogni astrazione, ma in grado di ritornare a percorrere la strada verso la ricerca del principio originario ed unitario del cosmo, per intercettare così la presenza di una Ragione, non solo nel modello teorico (a cui forse non ha ancora rinunciato), ma nella realtà concreta.
Ecco perché per quest’altra scienza c’è bisogno di un’altra ragione. Non basta più restare sulla superficie delle cose con una ragione astratta e calcolante, che allontana la realtà del vissuto e cerca soltanto di connettere fra loro gli enti feriti e deturpati, i concetti astratti, incapaci nella loro asetticità, univocità e precisione estrema di far risuonare la concretezza dell’esperienza vissuta.
Nella seconda metà del XIX secolo, la ricerca della chiarificazione rigorosa dei termini e dei concetti del discorso formale ed univoco aveva condotto il filosofo e logico tedesco Gottlob Frege a scrivere un’opera intitolata Begriffsschrift, eine der arithmetischen nachgebildete Formelsprache des reinen Denkens (tradotta in italiano col titolo: Ideografia, linguaggio formale del pensiero puro a imitazione di quello aritmetico). Letteralmente, Begriffsschrift significa “scrittura” (schrift) dei “concetti” (Begriffs). Il termine tedesco Begriff porta con sé il verbo greifen, presente anche in alcune parole italiane, come “graffio” oppure “grinfie”. Rimanda proprio ad una lacerazione inevitabile nel momento in cui il concetto/begriff tenta il distanziamento asettico dalla sua origine e dal suo luogo nativo. Quel distanziamento, proprio dell’astrazione, produce il graffio e dunque il deturpamento, finanche la morte dell’oggetto. Nel concetto astratto ed asettico, la realtà è morta, putrida, emana ormai solo il fetore del disfacimento attuato.
Tra gli altri, lo aveva compreso già agli inizi dell’Ottocento Hegel, mostrando i pericoli di un pensiero astratto nel contesto del vivere quotidiano. Qui l’astrazione può ridurre d’un colpo una giovane donna ad una “donna di malaffare” o un uomo condannato alla decapitazione ad un “assassino”, ovvero può condurre al disfacimento della dignità dell’essere umano, mentre un raggio di sole può rendere luminoso il volto dell’assassino, lasciando intravedere ancora quella bellezza ferocemente ottenebrata.
Il filosofo francese Michel Maffesoli ha richiamato il bisogno di passare dal “graffio concettuale” alla “carezza”. Invece del vano tentativo di padroneggiare egoicamente la realtà, ritenendosi spavaldamente i possessori della verità e tiranneggiando sui destini dei popoli, gli scienziati autentici rivelano una ragione in ascolto della realtà, una ragione in profonda adorazione e riconoscimento del mistero in cui sono immersi.
Quanti scienziati in passato, e anche ai nostri giorni, si sono lasciati sedurre dagli allettamenti di teorie, tanto astratte quanto disumane, accecati dall’indiscusso dogma del “se si può fare tecnicamente, allora è eticamente giusto farlo”? Oppure si sono mostrati incapaci di prendere chiare posizioni su scelte e decisioni che oltrepassavano le proprie conoscenze e competenze specialistiche? L’etica e, soprattutto, la sapienza non procedono dalle acquisizioni della scienza moderna e contemporanea, semmai il contrario. Come era stato ben intuito ancor prima della nascita della scienza moderna, è l’essere (l’ontologia) che fonda l’agire (l’etica), agere sequitur esse, nella realtà e non nell’astrazione si mostra la verità di se stessi e del proprio agire. La fissazione in una ragione astratta e calcolante impoverisce l’umano e pone la scienza stessa fuori dalla realtà, rendendola incapace di offrire un senso alla storia dell’uomo e del cosmo.
Dall’astratto l’essere è fuggito. Dall’astratto, non dalla ragione. Perché l’autentica ragione umana non è tanto sulla superficie delle cose, a pascere l’astratto, ma nelle profondità della realtà, da cui la stessa scienza moderna è emersa come immenso dono per l’umanità. A questa ragione che accoglie e genera l’inatteso deve ritornare l’essere umano e lo scienziato. L’intera opera scientifica sembra invocare quest’altra Scienza con quest’altra Ragione. È una ragione sensibile all’unitarietà che promana dal profondo, capace di oltrepassare i limiti dell’incomunicabilità e della separazione delle scienze attuali. D’altronde le stesse teorie logico-formali lo hanno mostrato e dimostrato impietosamente. L’incompletezza del formalismo astratto logico-matematico è un richiamo ed una apertura ad una ragione (anche quella matematica) che è oltre la gabbia dell’astrazione teorica ed è in grado di far irrompere dalle profondità della realtà quell’altra Scienza. Si tratta ora di avere il coraggio di seguire fino in fondo la perenne novità che si fa spazio nella storia, ridando alla scienza il respiro più ampio della sapienza.
Una trattazione molto corretta e valida nella sostanza del discorso. Ora bisogna soprattutto dare sviluppo rilancio e prospettiva operosa a “UN’ ALTRA SCIENZA” che – nel suo campo – può ancora dirci tanto.
Ma non sulla nostra vita, come ha ben indicato Husserl, un po’ meno di un secolo fa.
Caro Amedeo,
sono perfettamente d’accordo con te. Ritengo infatti che quest’AltraScienza non possa che essere anche una OltreScienza, rispetto a come era appunto concepita al tempo di Husserl. L’AltraScienza dovrà essere in grado di non perdere mai di vista il mondo-della-vita, come suo continuo motore di novità e di reale progresso umano. Un progresso impossibile al di fuori di un orizzonte globale di senso, che deve trovare spazio nello stesso sapere scientifico.
Vedo che oggi moltissime persone, soprattutto quelle meno privilegiate dal sistema tecnico dominante, sentono il bisogno di una forma di sapere che si allontani dal paradigma materialista per coniugarsi con una visione spirituale della realtà.
Al di fuori delle roccaforti del “sapere ufficiale” (raramente anche dal di dentro), da molte vie, si sta tentando di costruire questo nuovo paradigma, indagandone le premesse e le implicazioni. I diversi tentativi stanno costruendo una visione sfaccettata della realtà che richiama il processo dell'”anarchismo metodologico” suggerito del filosofo Feyerabend. E’ da questa pluralità di punti di vista rivoluzionari, morbidi e non monolitici che sta nascendo la consapevolezza di un nuovo (e antico) modo di intendere il mondo, e di intendere il nostro stare al mondo.
Riporto il mio contributo a questo processo a questo link: https://sites.google.com/site/therisingunity/science/3-diagrammi (per ora sono solo slide di una conferenza, ma mi riprometto di farne uno scritto) dove provo a vedere il sapere scientifico e alcuni aspetti del sapere spirituale portato dalle religioni tradizionali come prospettive sulla stessa realtà complessa. La cosa notevole è che superando il paradigma materialista (e vincolando al laccio della ragione certe azzardate credenze religiose) emerga un quadro coerente e variopinto, con squarci a abissali sulla realtà, ma sempre vivaci, nel quale trovano posto e sono valorizzate sia le credenze popolari, che le più avanzate scoperte scientifiche. Mettere insieme, ricucire, questi mondi è un lavoro da filosofi naturalisti rinascimentali, più che da scienziati nel senso moderno, parafrasando papa Francesco, potremmo dire che pacificare i mondi è un lavoro di artigianato.
Caro Christian,
ritengo che la scienza sia in attesa di un cambio di paradigma, che possa offrire un rinnovato quadro del sapere umano. E credo che il rapporto tra materia e coscienza giocherà un ruolo fondamentale. Finora si è dato per scontato che la coscienza sia un prodotto dell’evoluzione materiale, mettendo tra parentesi la novità sconvolgente della vita e della consapevolezza. Imparare a rileggere l’evoluzione materiale ristabilendo un nuovo rapporto con la consapevolezza che noi esseri umani sperimentiamo, potrebbe offrire una luce nuova su tutta l’impresa scientifica, tenendo certamente conto degli errori del passato, dove una malintesa ricerca di unità, finiva con una sbrigativa quanto illusoria distorsione concordista dei saperi, che ha contribuito alla crescita dei conflitti. Credo dunque che abbiamo bisogno di due atteggiamenti spirituali fondamentali in questa impresa: prudenza e coraggio.