Sempre più, nell’epoca presente, ci interroghiamo sul nostro rapporto con il cosmo. E’ probabilmente un segno dei tempi. Sempre meno accettiamo di vivere in modo non cosciente appiattiti a livello terra, senza chiederci cosa ci facciamo qui, come siamo legati al turbinoso avvolgersi degli astri e all’espandersi accelerato degli spazi siderali.
Di fatto, la nozione di universo che si espande – relativamente recente nella storia della cosmologia – ha sbalzato fuori l’umanità dagli scenari troppo consolidati che le giungevano acriticamente addosso dai secoli passati, per rinnovare le domande ultime, e potenzialmente per chiamare alla partecipazione attiva ad una avventura che probabilmente ancora non abbiamo disvelato, nei suoi caratteri più emozionanti.
In questo esatto senso, un umano consapevole è quello che ha ricevuto e metabolizzato il nuovo senso del cosmo – una conseguenza del pensiero scientifico certamente, ma anche di quello filosofico e mitico – e lo ha integrato in sé stesso in modo da poter essere plasmato nella sua stessa vita, da poter essere messo in circolo fino a diventare non appena idea o teorizzazione astratta, ma carne e sangue.
Se il cosmo stesso è in espansione, anche il nostro esservi all’interno non può più essere stazionario. Mai come in questo periodo, del resto, l’esplorazione dello spazio è stata così attiva e feconda di scoperte. Possiamo citare ad esempio il rinnovato impegno nello studio del Sole, la nostra stella, la recentissima eclatante scoperta di fosfina nell’atmosfera di Venere, indizio forte (anche se da confermare) per la presenza di vita al di fuori dell’ambiente terrestre e – ancora più di recente – l’assegnazione del Nobel per la fisica, che quest’anno ha un sapore squisitamente cosmico, essendo stato attribuito a Roger Penrose, “per la scoperta che la formazione dei buchi neri è una conferma robusta della teoria della relatività”, e a Reinhard Genzel ed Andrea Ghez, “per la scoperta di un oggetto supermassivo al centro della nostra galassia”.
C’è dunque una accelerazione conoscitiva in astronomia, che sembra corrispondere a quella accelerazione cosmologica che ormai appare anch’essa una acquisizione discretamente solida.
La cosmologia è abbastanza curiosa, perché è – senza alcuna contraddizione – la più antica e la più moderna tra le scienze. Nella sua forma primitiva, essenzialmente mitica e religiosa, è presente fin dall’inizio del cammino dell’uomo: ogni civiltà che si è susseguita sul nostro pianeta ha sviluppato un modello del cosmo, che rifletteva fedelmente il grado di sviluppo e la tavolozza di valori che quella civiltà aveva elaborato. 1
Tuttavia nella sua forma moderna (oggi potremmo dire, scientifica), la cosmologia appare giovanissima, davvero la più bambina tra le scienze. Basti pensare come, ancora all’inizio del ventesimo secolo, nessuno dei “mattoncini” principali di questa costruzione, fosse stato messo a dimora. Le reali dimensioni del nostro universo erano ancora completamente sconosciute, perfino la stessa esistenza di altre galassie (oltre la nostra Via Lattea) non era affatto stata dimostrata, e naturalmente, la comprensione di base della gravitazione (elemento fondamentale per ogni teoria cosmologica a base scientifica) era ancora di là da venire, perché appunto sarebbe giunta solo con il lavoro di Albert Einstein. Anche il meccanismo di funzionamento delle stelle – quei processi di fusione nucleare ormai ben conosciuti dagli astrofisici – rimaneva un completo mistero, mancando appunto la conoscenza dei processi atomici fondamentali attraverso i quali gli astri ci forniscono luce e calore.
C’è stato, dunque, un cambio radicale di paradigma, che è peraltro alla base della stessa entrata nell’epoca moderna: un cambio di percezione immensa in come vediamo e viviamo il mondo. Qualcosa di così enorme che non abbiamo ancora avuto la possibilità, come umani, di metabolizzare veramente quello che è accaduto.
Perfino la fisica fondamentale, una scienza da molti ritenuta “dura”, è in una fase di ripensamento profonda, sotto la spinta dei nuovi riscontri sperimentali. La ricerca delle particelle fondamentali, per esempio, è ormai vista in una luce completamente diversa da quanto avveniva soltanto pochi anni fa. La mole di esperimenti ormai accumulata, tramite grandi acceleratori di particelle e sofisticatissime attrezzature, punta decisamente verso una semplice e rivoluzionaria evidenza: non esiste alcuna particella fondamentale, non esiste un “mattoncino” elementare, da cui magari costruire il tutto, come in un gioco di incastri sempre più elaborati.
E’ ormai evidente – lo ammette anche un fisico come Carlo Rovelli2, certamente non sospettabile di inclinazioni metafisiche – che alla base del tutto non c’è un mattoncino fondamentale, ma c’è una rete di relazioni. Perché queste particelle, se vogliamo proprio trovare cosa le accomuna, è che interagiscono ostinatamente tra loro, articolano una danza finissima i cui connotati stiamo soltanto ora iniziando a comprendere. Questa danza intima del reale, si colloca più al fondo di ogni particella che può emergere per qualche istante dalla danza, per poi rientrare nel gioco e ripresentarsi in forma differente, per caratteristiche e natura. Mostrando così la sua splendida e inarrestabile transitorietà.
La nostra mente dunque deve cambiare, la nostra consapevolezza deve crescere, per comprendere le indicazioni che ci vengono dalla realtà. E’ una nuova consapevolezza che è oltremodo necessaria, altrimenti non riusciremo più a leggere ed interpretare i messaggi che ci arrivano dall’universo, ad ogni scala: dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo, infatti, ci arriva un messaggio concorde, che parla una lingua nuova, in vibrante attesa di un uomo nuovo, in grado di comprenderla.
In un certo senso – e a differenza di altre epoche storiche – per diventare pienamente consapevole l’uomo è chiamato a recuperare e far propriamente suoi, gli ultimi risultati della scienza del cosmo: questo proprio perché ora è nella cosmologia che riposa la modalità specifica di intendere l’Universo, disciplina che è uscita appunto dall’ambito del mito, con l’ingresso nell’epoca presente. E’ dunque alla scienza che occorre rivolgersi, una scienza ovviamente depurata dalle scorie positiviste e riduzioniste che pure la hanno attraversata e hanno certamente contribuito alla disaffezione verso di essa.
Che poi il lavoro di “dare senso” (cosmico ed esistenziale, che è la stessa cosa) richieda all’uomo una modalità specificamente “attiva”, ce lo dice anche un filosofo e poeta sensibile all’impresa scientifica come Marco Guzzi, che nel recente “Dizionario della lingua inaudita” (Edizioni Paoline, 2019) riporta per il termine “Senso”, questa interessante descrizione:
Alzarci ogni giorno
e ritrovare il senso
della nostra giornata
terrena. A fatica,
stancandoci,
senza stancarci mai,
capire che il senso delle cose
lo costruiamo noi, lo pro-creiamo,
come una madre
che dà alla luce un figlio
senza conoscere uomo.
Dunque l’universo richiede, per essere investito di “senso”, una nostra partecipazione attiva, un perenne lavoro di “costruzione” del senso medesimo. E questo è più vero che mai, da quando il senso di un universo pervaso da un forte dinamismo, ha investito prepotentemente la nostra coscienza di uomini moderni. Il dinamismo del cosmo chiama insomma ad un nostro personale dinamismo interiore, poiché come sempre è stato, quello che accade tra le stelle più lontane è riflesso specifico di quanto accade nelle profondità del nostro animo. Già Carl Gustav Jung avvertiva, al proposito, che
la nostra psiche è costituita in armonia con la struttura dell’universo, e ciò che accade nel macrocosmo accade egualmente negli infinitesimi e più soggettivi recessi dell’anima.
L’uomo è chiamato ora ad una rinnovata consapevolezza del cosmo, a riappropriarsi delle stelle. Un lavoro tanto personale quanto sociale e politico, preludio ormai indifferibile all’avvento di una nuova umanità. Questo piccolo gruppo di lavoro chiamato AltraScienza intende, ora ed ancora, umilmente porsi nella scia di questo compito grande, dialogando con ogni persona o associazione che si trovi a percorrere questa stessa strada.
Un commento su “La danza intima del reale”