Frammentazione della scienza e consapevolezza mistica

Il Tao che può essere detto
non è l’eterno Tao,
il nome che può essere nominato
non è l’eterno nome.
Senza nome è il principio
del Cielo e della Terra,
quando ha nome è la madre
delle diecimila creature.

Lao Tzu[1]

L’incipit del Tao Te Ching, uno dei più celebri testi di saggezza cinese, ci mette in guardia dal dare un valore di realtà essenziale a ciò di cui possiamo pronunciare il nome. Dare nome alle cose, voler specificare, distinguere, è origine di ogni separazione e molteplicità. Questo principio di saggezza universale, che riverbera nel comandamento mosaico di non farsi immagini o idoli di Dio, può aiutarci a focalizzare l’idea che esista una distanza infinita tra ciò che noi possiamo intendere razionalmente (spiegare) e ciò che è la realtà “ultima” delle cose. Non che la realtà ultima non possa essere avvicinata, ma semplicemente non può essere spiegata a parole, né può essere pronunciata verbalmente una qualsiasi “verità definitiva” sulla realtà essenziale.


Mi pare che questa considerazione possa essere un ottimo punto di partenza per fornire una prospettiva critica sull’impresa scientifica in cui si è lanciata l’umanità negli ultimi secoli, partendo dall’occidente e proseguendo nel mondo occidentalizzato. Impresa che,  portando grandi benefici a una parte dell’umanità, ha altresì portato a grandi contraddizioni, prima fra tutti l’iniquità della distribuzione di questi benefici.

La nostra civiltà ha prodotto una scienza fortemente materialista e frammentata, che possiede la caratteristica della “ragionevolezza” e della dicibilità. Infatti il principale strumento della ricerca scientifica moderna, presa nel suo complesso, è la pubblicazione su rivista di paper testuali soggetti a peer-review. Quest’attività richiede necessariamente il passaggio in forma scritta della conoscenza scientifica. La stessa forma verbale che Lao Tsu (insieme ad altri mistici) dichiara essere inadatta ad esprimere la verità eterna.  Il discorso ragionevole (formato da operazioni mentali svolte su un supporto verbale) non è sufficiente ad entrare in contatto la Verità misteriosa, ineffabile ed indicibile, e quindi tende a fuorviare la mente non educata portandola a “ragionevoli” (ma false) sicurezze.

Riguardo a questo, l’insegnamento cristiano  e il Tao Te Ching (che si appoggiano ad un altro tipo di sapere, che non è “di questo mondo”) concordano nel  sostenere che  l’eccesso di cultura è di ostacolo al raggiungimento della vera conoscenza.

  • L’apostolo Paolo (1Corinzi 2:6-9): Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Sta scritto infatti: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano.
  • Nel Vangelo di Matteo 11:25 Gesù declama: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.”
  • Analogamente nella strofa LXXXI del Tao Te Ching, leggiamo il motto “Il saggio non è erudito; l’erudito non è saggio”.

In tutte questi insegnamenti viene dichiarata la diversità (o la difficile conciliazione, se non la mutua esclusione) tra il sapienza divina ed il sapere accademico.

L’idea di “imperfezione” del sapere (scientifico), è insita a livello fondamentale nella formulazione stessa del metodo scientifico, che rimanda alla continua verifica (oltre che della falsificabilità) delle affermazioni scientifiche, ritenute sempre e comunque di validità temporanea. Dovendo muovere una critica di superbia alla scienza, questa non andrebbe perciò rivolta verso il metodo in sé, quanto piuttosto al modo in cui esso viene interpretato dagli “addetti ai lavori”.

Nel suo testo “Religione e Scienza”, Albert Einstein parla espressamente della sua opinione del rapporto che sussistente tra religione e scienza, centrato sull’idea di un “sentimento religioso cosmico” che alimenta spiritualmente i grandi scienziati e ai grandi geni religiosi, dal quale riporto alcune citazioni, rimandando alla lettura del testo integrale[2]:

  • La più bella sensazione è il lato misterioso della vita. E il sentimento profondo che si trova sempre nella culla dell’arte e della scienza pura. Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per così dire morto; i suoi occhi sono spenti.
  • Tuttavia c’è un terzo stato di esperienza religiosa che li riguarda tutti, sebbene solo raramente si trovi nella sua forma pura, e che chiameremo sentimento religioso cosmico. È molto difficile spiegare questo sentimento a chi ne sia totalmente privo […] Secondo me, la funzione più importante dell’arte e della scienza è proprio quella di risvegliare questo sentimento e tenerlo vivo in quelli che non sono in grado di sentirlo.
  • Fra le menti scientifiche più profonde difficilmente ne troverete una priva di un particolare sentimento religioso tutto suo. Tuttavia è diverso dalla religione dell’uomo semplice. Per quest’ultimo Dio è un essere dalla cui attenzione si spera di trarre beneficio e di cui si teme la punizione.

Secondo Einstein chi non riconosce il mistero che è nella natura, chi non prova stupore e sorpresa, non ha nemmeno la possibilità di connettersi con la scienza “pura”, perché i suoi occhi sono spenti. Il sentimento religioso cosmico, che va oltre il senso religioso convenzionale, è difficilmente trasmissibile, ma dev’essere compito prioritario di arte e scienza[3] il risvegliarlo e il tenerlo vivo.

Mi pare che queste idee di Einstein scoraggino assolutamente la prevalenza di una scienza monolitica ed auto-referenziale, incoraggiando invece l’apertura (specificatamente l’apertura verso l’alto) della conoscenza scientifica, e promuovendo quindi la figura dello scienziato-mistico, che Einstein ha tentato di impersonare nel corso della sua esistenza. L’influenza del pensiero di Einstein non è stata limitata all’ambito scientifico, ma la sua attività e riflessione si è aperta in molti campi, dalla filosofia  alla politica, rendendolo uno dei più importanti pensatori del ventesimo secolo.

Se il l’eccesso di sapere distoglie dalla verità, e il sapere verbale è inadatto ad esprimerla, cosa invece può aiutarci a conoscere la verità, a entrare in contatto con essa?

Per concretizzare questo contatto diretto è necessaria un’altra attitudine, che potremmo dire mistica/intuitiva. Letteralmente, intuire significa guardare dentro, quindi la capacità intuitiva è la capacità di vedere dentro i la realtà fenomenica, oltre le apparenze. Da notare inoltre che la mistica riconduce all’idea di mistero tanto cara ad Einstein. E la capacità mistica è la caratteristica che viene richiesta al “vero” scienziato, ovvero allo scienziato che possa supportare la manifestazione e lo sviluppo della nuova umanità.

Nel suo breve testo “Sulle tracce della scienza sacra”[4], di cui consiglio vivamente la lettura, il prof. Pluchino (fisico teorico ed esperto di sistemi complessi) cita un testo di Plotino tratto dalle Lettere a Flacco:

La conoscenza ha tre gradi: opinione, scienza, illuminazione. Il mezzo o strumento della prima è la sensazione, quello della seconda è la dialettica, quello della terza è l’intuizione. Da quest’ultima faccio dipendere la ragione. E’ la conoscenza assoluta che si basa sull’identità della mente che conosce l’oggetto conosciuto. […]

Ti chiederai in che modo possiamo conoscere l’Infinito. La mia risposta è questa: non per mezzo della ragione. Spetta alla ragione distinguere e precisare. Quindi l’infinito non può rientrare tra i suoi obiettivi. L’infinito lo puoi comprendere solo grazie a una facoltà superiore alla ragione, entrando in uno stato in cui il tuo io finito non c’è più, in cui l’essenza divina entra in contatto con te. Si tratta dell’estasi. E’ il momento in cui la tua mente si libera della sua coscienza finita. Ogni simile capisce il suo simile, come quando tu cessi di essere finito, quando diventi tutt’uno con l’infinito. Avendo riportato la tua anima al livello del suo io più semplice, tu attui questa unione, questa identità. Tuttavia questa condizione sublime non dura a lungo. Solo di tanto in tanto si può godere di questa elevazione al di sopra dei limiti del corpo e del mondo. Tutto ciò che tende a purificare e a innalzare la mente ti sarà d’aiuto in questa realizzazione, faciliterà inoltre l’approssimarsi e il ripetersi di questi lieti intervalli.

Ci sono quindi diverse strade su cui poter raggiungere questa meta. L’amore della bellezza che esalta il poeta; la devozione dell’Uno e quell’ascesa della scienza che costituisce l’ambizione del filosofo, nonché quell’amore e quelle preghiere mediante le quali qualche anima pia e appassionata aspira nella sua purezza morale alla perfezione: sono queste le grandi strade maestre che conducono al culmine che sovrasta il reale e il particolare, dove ci troviamo alla presenza immediata dell’Infinito, che emerge come se uscisse dalle profondità dell’anima”.

Rifacendosi ai filosofi, mistici e scienziati citati, possiamo dunque dire che molte attività scientifiche, per superare l’empasse della mancanza di senso cui sono soggette, abbisognano di essere informate da qualcosa di diverso della ragione, che potrebbe (dovrebbe) essere la sapienza di origine mistica, che è per sua natura unificante[5]. Questo perché la via mistica fornisce lo spirito necessario ad aggregare e ri-unificare il pensiero scientifico, in quanto la ragione da sola non possiede questa capacita unificante, ma anzi si presta spesso al conflitto, alla divisione, al soddisfacimento di bisogni egoici, cioè quando essa muova da dogmi opinabili, ma che pretende universali.

Quindi, per uscire dalla modalità espressiva verbale che ho tanto criticato, vorrei proporre uno schema che riassuma la prospettiva descritta sinora.

Da una parte abbiamo la realtà materiale nella sua molteplicità, che viene studiata e descritta da una varietà di agenti cognitivi, i quali riescono a carpire solamente una parte limitata della totalità. Queste operazioni di studio, fanno evolvere il pensiero dell’umanità nel suo complesso. Per dare però un orientamento coerente a questo movimento del pensiero, gli enti cognitivi abbisognano di un’altra facoltà, l’ispirazione, che ne guidi i pensieri verso l’unico ente unificatore plausibile, che va al di là del pensiero, che è la Verità essenziale.

In questo modo il processo di sviluppo cognitivo dell’umanità avrà la possibilità di essere ordinato. In alternativa, quando gli enti sono mosso di varie passioni egoiche e opinioni casuali, avremo un movimento caotico, caratterizzato da alti e bassi, avanzamenti e retrocessioni, fenomeni che abbiamo visto nel corso del secolo scorso, e che stiamo oggi sottoponendo a pesante critica, avendone riconosciuto gli angusti limiti e i deleteri effetti.

Osservando il movimento complessivo del pensiero da una prospettiva ancora più ampia possiamo dire chela storia della conoscenza umana procede da diversi sistemi di sapere, che riguardano i diversi aspetti della realtà materiale, procedendo verso una progressiva armonizzazione di questi sistemi (anche attraverso crisi e cambi di paradigma) per arrivare a comprendere livelli sempre più profondi della verità, che di per sé non è contenibile in nessun sistema di pensiero monolitico. Ciò che guida questa evoluzione è l’ispirazione (che viene dalla facoltà dell’intuizione mistica) ma il sapere deve comunque rispondere ai criteri di ragionevolezza, propri del sapere scientifico.

Due esempi moderni di conciliazione tra sistemi di sapere mistico/intuitivo e quello scientifico sono stati proposti da F. Capra e Teilhard de Chardin che, insieme ad altri[6], impersonano le figure dello scienziato-mistico.  Ne  “Il Tao della Fisica”, Capra  mostra come la millenaria sapienza orientale abbia prefigurato le recenti scoperte della meccanica quantistica e che quindi le verità espresse dalla scienza odierna in termini formali erano state osservate intuitivamente migliaia di anni fa da mistici orientali.  Teilhard de Chardin offre invece una rilettura della nostra storia cosmologica, biologica ed umana alla luce di una unificante evoluzione di tutti gli esseri verso un glorioso destino comune al quale siamo chiamati per mezzo della redenzione in Cristo.

In entrambi gli autori citati, l’aspetto mistico e l’aspetto scientifico non sono in conflitto tra loro, ma anzi si chiariscono e rinforzano sinergicamente l’un l’altro, producendo una modalità di pensiero integrato/relazionale molto forte e convincente e che, a mio avviso,  in questi decenni soppianterà definitivamente quella separativa/schizofrenica che ha dominato la modernità[7].

La vocazione verso una mentalità integrata/relazionale mi pare ben espresso dal maestro orientale Abdul Bahà, quando dice: “Possiamo paragonare la scienza a un’ala e la religione all’altra. Un uccello ha bisogno di due ali per volare, una soltanto sarebbe inutile.”

E il volo, la capacità di innalzarsi oltre le ceneri della vecchia umanità, verso un radioso destino, mi sembra essere la prerogativa della nuova umanità nascente. Ringraziamo tutti coloro che, prima di noi hanno gettato dei semi per indicarci la via.


[1] [Lao Tzu, Tao Te Ching, a cura di Luciano Parinetto, Edizioni La vita Felice, 1995. ISBN 888631423X]

[2] Dal capitolo “Religione e Scienza” di A. Einstein: Come io vedo il mondo. 1975 Newton Compton editori

[3] Non tanto i risultati “pratici” della scienza, quanto la cultura scientifica.

[4] Testo liberamente scaricabile all’indirizzo http://www.pluchino.it/blablabla/SULLE-TRACCE-DELLA-SCIENZA-SACRA.pdf

[5] Raimon Panikkar, parlando di unità delle religioni (ma il discorso può essere esteso a ogni sapienza), ci offre una bella immagine «A una certa altezza non vi sono più baratri; le vie si riuniscono oltre le valli»

[7] Pluchino, nel testo citato, nomina altri scienziati moderni che andrebbero approfonditi.

[8] Si può approfondire il confronto tra la cultura morente e quella creativa/nascente in molti interventi di Marco Guzzi, tra cui questo: http://marcoguzzi.it/2011/02/28/lo-stato-della-cultura-a-occidente/



Autore: Christian Lovato

Ingegnere elettronico, ex programmatore, ex ricercatore universitario ed ex insegnante. Appassionato investigatore della realtà, tra scienza e sacre rivelazioni, esperienze interiori ed ecovillaggi, testimone del mondo nuovo che sta (av)venendo, con l’intenzione di parteciparvi sempre più e sempre meglio.

2 pensieri riguardo “Frammentazione della scienza e consapevolezza mistica”

  1. Interessante la lettura fra sapere verbale e sapere scritto.

    Anche la conoscenza Biblica si è andata formando, da tradizione orale, passando via via per quella scritta e solo alla fine di questa e a valle di una riflessione lunga sul testo ormai cristallizzato, è stata “riconosciuta” come ispirata e come tale trasmessa. Anche il Nuovo Testamento si è formato allo stesso modo, anche se temporalmente in modo più accelerato: l’antico in molti secoli, il nuovo in uno-due secoli.

    Interessante anche il fatto che Gesù in persona, il Figlio Incarnato non ha lasciato nulla di scritto, direttamente. Prediligeva l’insegnamento orale, non diversamente da tutti gli altri profeti e dottori: erano sempre i discepoli (così come per Isaia e altri) a sentire a un certo punto l’esigenza di mettere per iscritto quelle esperienze, quei ricordi, quegli insegnamenti, nel timore che il tempo e il passare delle generazioni potessero perderlo, degradandolo o discorcendolo.

    Proprio ieri abbiamo fatto un incontro di preghiera darsi pace meditando l’episodio evangelico in cui Nicodemo prende le difese di Gesù davanti a sacerdoti e farisei (Gv 7,40-53) e ci siamo soffermati proprio nel passaggio in cui gli si risponde bruscamente “Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!” qui infatti non c’è un contrasto fra ragione e fede, giacché lo stesso Nicodemo, essendo entrato in relazione con Gesù (al capitolo 3 era andato a trovarlo segretamente) e si dice infatti che “era uno di loro” cioè di fatto un discepolo. Quindi sapeva che in realtà Gesù era della Betlemme, come le scritture promettevano. Egli però lo sapeva in base a una conoscenza che le è venuta da una relazione, ed era questa che in armonia con la ragione trova spazio per una autentica comprensione: sono proprio le due “ali” di cui parli con quella bella metafora.

    Non mi trovo d’accordissimo con la visione dello “scienziato-mistico” perchè non mi convince la definizione di mistico per come viene usata nel testo: il mistico mi pare piuttosto una persona che ha una specifica relazione personale con la divinità (non ha senso ad esempio parlare di mistica buddista); nel linguaggio di Darsi Pace è in un io-in-relazione molto forte con la divinità che li approssima ormai all’ io-vero.

    Mi sembra di capire (ma potrei sbagliarmi) che parli piuttosto di “trascendenza”: si può essere trascendenti anche senza essere mistici (e per tornare a l’esemplificazione buddista, questa dottrina lo è senz’altro). Così rimane più accettabile il citato Einstein che non mi pare affatto sia stato un mistico, ma certamente aveva qualche visione di trascendenza.

    Nell’ultima parte del testo, in particolare nella figura, confesso di essermi un po’ perso e non seguire più tanto il discorso, ma questo è senz’altro un mio limite. Comprendo invece meglio, e condivido, l’esempio dei due autori Capra e de Chardin.

  2. Mille grazie per i tuoi feedback, Fabrizio. Di sicuro mi aiuterà a migliorare la mia modalità espositiva e a “sintonizzarmi” maggiormente con le esigenze e le prospettive del gruppo.

    Riguardo al fatto che Gesù non abbia lasciato nulla scritto di suo pugno, le Scritture ci trasmettono che Lui ha detto “Io sono la via, la Verità e la Vita”, e perciò la verità che Lui è venuto a portarci non era un testo scritto, ma una Persona, e quindi, forse, non ha voluto chiuderci in parole dogmatiche (e comunque sempre fraintendibili) lasciandoci in presenza di una realtà viva e misteriosa che è Lui stesso e il suo amore.
    Diversa la questione per le religioni che sono venute dopo. I fondatori dell’Islam e della fede Bahai hanno trasmesso un testo dettato direttamente da Dio, e perciò ritenuti dai credenti sacra ed inoppugnabile Legge Divina.

    Quando parlavo di mistico, intendevo letteralmente “in contatto con il mistero”… per me (non so se è ingenuità o visione) esiste essenzialmente un solo mistero, che è quello divino. In quel senso mi pare di essere in sintonia con quella che dici essere la prospettiva di Darsi Pace, perché mi pare che l’io-vero è una cosa con Dio, come Cristo è uno col Padre.
    Questo tra l’altro è il senso della mia figura… quando torniamo a noi stessi, partendo da uno stato di frammentazione, la nostra destinazione finale è necessariamente l’Unità divina, che è verità, bellezza e bene supremo.
    Come il nostro io frantumato cerca pian piano di tornare a un’unificazione liberatrice, così avviene nel corpo e nei pensieri dell’umanità.
    Quest’ultima è una mia prospettiva della mistica, che riguarda sia il destino degli individui in quanto tali, quello dell’umanità in quanto tale e la redenzione dell’universo in quanto tale… in effetti io lo ritengo un movimento universale, ma non è detto che tutti posseggano questa prospettiva… mi pare un tema affascinante, ma forse un tantino complesso da approfondire qui (non conosco le “coordinate comuni” sul quale potremmo basarci), e sul quale sarebbe bello discutere in separata sede 🙂

    Christian

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