Premio Nobel per la fisica, Max Planck fu uno scienziato a cui dobbiamo moltissimo, in particolar modo per le sue intuizioni sulla teoria della meccanica quantistica. Anche appena tentare un profilo sommario della sua figura e dell’importanza che riveste per la fisica del Novecento, sarebbe soverchiante per le nostre forze e occuperebbe sicuramente molto spazio. Ci solleva pensare che, in fondo, non è nostro compito.
Qui, come di nostra abitudine, procediamo appena a piccoli passi (come ci insegna il bellissimo Salmo 130, non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze..) e vogliamo perciò focalizzarci specificamente su un suo testo del 1930, lasciando (per ora) agli approfondimenti personali il piacere di riscoprire la sua interessante figura di scienziato e sopratutto di uomo del nostro tempo.
Lo scritto cui facciamo riferimento in questo articolo è il testo di una conferenza pubblicata nel volume La conoscenza del mondo fisico ed è riportata nel Portale DISF (Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede), al quale rimandiamo senz’altro per una lettura integrale del testo.
Interessante e potremmo davvero dire attualissimo già dall’incipit,
Ogni giorno, anche per gli inauditi progressi dei mezzi di comunicazione e di traffico, nuove impressioni giungono in folla da vicino e da lontano a colpire i nostri sensi. Noi le dimentichiamo il più delle volte con la medesima rapidità con cui sono venute, e di taluna di esse non c’è più traccia il giorno dopo. Ed è bene che sia così. Altrimenti l’uomo moderno soffocherebbe sotto il numero ed il peso delle svariate impressioni che gravano su di lui.
Sembrerebbe di essere di fronte ad uno dei tanti moniti che rimbalzano quotidianamente sulla rete e nei quotidiani, dove si segnala la pericolosa pervasività di Facebook e degli altri social network, si lamenta la frammentazione del focus, il multitasking che ci confonde e influisce negativamente nella nostra capacità di concentrazione.
Invece (appunto) è un testo scritto più di ottant’anni fa. Non esisteva Internet, non esisteva (quasi) la televisione. E’ segno di un’animo grande, intuire un fenomeno ben prima che si dispieghi in tutta la sua allarmante attualità.
Ma anche questo inizio già così moderno e folgorante– che già sarebbe degno di ulteriori analisi – in realtà è appena la premessa a qualcosa di molto più esplosivo, che si trova poco più avanti. Vale la pena, anche qui, riportare per intero un successivo passaggio,
Chi ha veramente collaborato a costruire una scienza sa per propria esperienza interiore che sulla soglia della scienza sta una guida apparentemente invisibile: la fede che guarda innanzi. Non c’è principio che abbia recato maggior danno, per l’equivoco a cui si presta, che quello dell’assenza di premesse nella scienza. Le fondamenta di ogni scienza sono fondate dal materiale che l’esperienza fornisce, è vero, ma è altrettanto certo che il materiale da solo non basta, come non basta la sua elaborazione logica, a fare la vera scienza.
Colgo l’occasione qui per proseguire un lavoro in qualche modo già iniziato in queste pagine, mettendo a confronto stretto questa linea di pensiero, con quello che si legge in un testo molto più recente: parlo di Fede e Rivoluzione, di Marco Guzzi (Edizioni Paoline, 2017). In un passo da noi già citato, si ribadisce che
… ogni ricerca della verità, tenetelo bene in mente, anche quella più scientifica, presuppone sempre un atto, più o meno consapevole, di affidamento a convinzioni indimostrate, a parole già dette e ricevute, ascoltate e credute, e quindi un atto, appunto, di fede.
In altri termini, come suggerito da Planck (1930) e più recentemente da Guzzi (2017), la fede in senso ampio (non necessariamente religioso) non solo si dà come pertinente e congruente all’ambito scientifico, ma si dà come necessità imprescindibile fin nelle sue radici.
Questa evidenza solare, rimarcata da filosofi e scienziati, questa necessità di compiere un vero e proprio atto di fede prima di potere solamente accedere all’intelligibilità del reale, non è probabilmente ancora entrata nella percezione comune, dove molti ancora vedono la scienza come un regno franco ove si può – o addirittura si deve – articolare una specifica narrazione, in maniera totalmente asettica, in particolare aliena da qualsiasi ente metafisico.
Così non è, come vediamo.
Ed è una evidenza salutare, perché questo intreccio inscindibile testimonia, in fondo, di una unità dell’uomo nell’atto del conoscere, una unità di fondo che possiamo sperare di recuperare alla coscienza, per un vero “salto quantico” che recuperi un’ampiezza di unità al nostro animo così spesso lacerato e frammentato.
La fede peraltro rimanda irresistibilmente ad un principio ordinatore, in una connessione stretta che lega in modo fecondo la creazione del cosmo, all’atto stesso del conoscerlo.
Come dal caos di masse isolate senza forza ordinatrice non può sorgere il cosmo, così dai materiali isolati dell’esperienza, senza l’opera cosciente di uno spirito pervaso da una fede feconda non può nascere una vera scienza.
In questo modo, mi sembra, creazione e comprensione si vengono ad avvicinare molto più di quanto comunemente si ritiene. Tanto che l’indagine del cosmo, appunto la sua comprensione – basata su un atto di fede primordiale, tanto quanto la creazione – si appalesa in realtà come compiuta “co-creazione” del cosmo stesso. L’universo non sarebbe stato creato “una sola volta” da un Principio Primo che poi lo avrebbe lasciato, diciamo, “al suo destino”, preda di forze essenzialmente inerti e passive.
Tutt’altro, l’universo si rinnova ogni momento con continui atti di creazione . Atti ai quali noi stessi, in quanto creature senzienti, partecipiamo.
Non è speculazione astratta, si badi. E’ un modo di sentire, di avvertire il mondo, condiviso da diversi astronomi. Creazione come continua (ri)generazione dal nulla, perpetua redenzione dal niente. Che avviene – davvero – istante per istante. Scrive Marco Bersanelli (noto astrofisico ed eccellente divulgatore) quasi a voler fugare ogni equivoco, che
L’evidenza della creazione non va cercata anzitutto nel passato, ma nella sorpresa che le cose ci sono in ogni istante, ora: io non mi faccio da me, ogni cosa, se potesse pensare, dovrebbe dire: «Io non mi faccio da me». Quel momento drammatico di 13,7 miliardi di anni fa, quando tempo e spazio ebbero inizio, è un segno grandioso della contingenza dell’universo. Ma la creazione non è relegata a quel remoto evento. Essa è l’atto misterioso che trae dal nulla ogni istante di ogni stella o fiore o bimbo dell’universo.
Tornando al nostro documento del 1930, possiamo osservare come Plank rafforzi ulteriormente il legame tra fede e conoscenza scientifica con altre calzanti considerazioni,
… la fede è la forza che dà efficacia al materiale scientifico radunato, ma si può andare ancora un passo avanti, ed affermare che anche nel raccogliere il materiale, la preveggente e presenziante fede in nessi più profondi può rendere dei buoni servigi. Essa indica la via ed acuisce i sensi.
E subito dopo dettaglia quello che a taluni potrebbe sembrare una esagerazione, rendendola pienamente ragionevole, restituendole vera dignità di senso.
Lo storico che cerca documenti in archivio e studia quelli che trova, lo sperimentatore che in laboratorio costruisce un piano di ricerche ed esamina alla lente le immagini fotografiche ottenute, trovano in molti casi facilitato il lavoro, specialmente il lavoro di separazione di ciò che è essenziale da ciò che è secondario, da un certo particolare orientamento più o meno cosciente del pensiero con cui dispongono le ricerche ed interpretano i risultati ottenuti. Succede a loro come al matematico, che trova e formula un nuovo teorema prima di essere in grado di dimostrarlo.
Potremmo andare avanti nell’analisi di questo testo, così denso che ogni frase potrebbe essere accolta e ripensata (interessantissime anche le considerazioni – profetiche – sulle pseudoscienze, che non possiamo approfondire qui). Sarebbe però un lavoro che esula dall’ambito di un singolo post, come questo.
Giunti a questo punto, allora, preferiamo lasciare queste tracce, appena accennate, al lavoro appassionato del lettore, al quale suggeriamo anche una consultazione paziente ed attenta dell’archivio di DISF.org sugli scienziati credenti: vera miniera per questo tipo di indagini, vero scrigno di tesoro, per la riflessione aperta e senza steccati, su scienza e fede.
Ciao Marco, ti ringrazio per questo articolo, bellissimo per la sua limpida chiarezza e concisione.
Un caro saluto,
Walter
Grazie caro Walter, per la lettura e l’apprezzamento dell’articolo. Un abbraccio, Marco
Molto, molto interessante e stimolante il tuo post, caro Marco. Sto giusto (ri)leggendo Fede e Rivoluzione in questi giorni e, direi, capita proprio “a fagiolo”. Colgo senz’altro al volo la dritta di DISF.org per approfondire l’argomento. Grazie di tutto!
Benigno
Grazie caro Benigno, sì Fede e Rivoluzione ha molto da dire in questo ambito, è ottimo per iniziare anche a pensare alla scienza in modo nuovo e più morbido. Disf è davvero una miniera d’oro… Un saluto!
Grazie Marco, molto interessante e pieno di spunti. In particolare mi ha colpito la citazione di Guzzi, e la frase:
“[…] molti ancora vedono la scienza come un regno franco ove si può – o addirittura si deve – articolare una specifica narrazione, in maniera totalmente asettica, in particolare aliena da qualsiasi ente metafisico.”
L’idea che mi è venuta leggendo questa frase è che possano esistere tante narrazioni scientifiche quante siano le prospettive metafisiche di base. Un po’ come quelli che, mettendo in dubbio il quinto postulato di Euclide, scoprirono che ogni scelta riguardo alla curvatura dello spazio permetteva di formulare sistemi geometrici diversi, ognuno dei quali auto-coerenti. Per la mente egoica e adeguata la scienza materialista, mentre per la mente relazionale è adeguata un’altra scienza.
Caro Christian,
grazie per il tuo commento. Sì in realtà accenni ad una questione molto importante; quale scienza per una nuova mente? Quale modalità di conoscenza scientifica si pone (o si dovrà porre) per una “nuova umanità”?
Probabilmente ogni risposta adesso sarebbe affrettata, o incompleta: si tratta infatti, così’ mi pare, di un cammino iniziatico, dove dunque le cose si imparano “facendo”, dove la strada si scopre soltanto camminando. Quello che mi pare abbastanza certo, è che questa “nuova scienza” non si pone come contrapposizione con quella “antica”, semmai come “allargamento”, sempre e comunque nel rispetto del rigore metodologico. Rigore che viene incredibilmente ampliato a nuove prospettive: penso qui alla meccanica quantistica, che in termini assolutamente rigorosi giunge a farci intravedere davvero “un altro mondo” così diverso dal nostro, e un “altro ruolo” dello scienziato che guarda il mondo come anch’esso inestricabilmente connesso con quanto viene esplorando…
E questo appunto è solo un esempio, tra l’altro ormai anch’esso “antico” di diversi decenni. Chissà quali sorprese ci guideranno nell’ampliare il nostro paradigma dell’indagine scientifica.
L’importante – io credo – sarà rimanere aperti, ed insieme, con i piedi ben piantati per terra.