Uno dei problemi del sapere contemporaneo è l’incredibile proliferare delle discipline del sapere, e della scienze in particolare: un vero zoo. Sviluppo inevitabile: all’aumentare delle conoscenze, per poter progredire.
Aristotele nonostante sia primariamente un filosofo scrive anche di astronomia e zoologia. Pochi fra gli antichi hanno generato nuove conoscenze in senso non trasversale: dai greci ai medioevali il sapere era uno e il sapiente studiava di tutto. Poi con la modernità l’albero si differenzia sempre più profondamente, discipline sempre più fitte nello zoo ramificato del sapere. Giù giù sempre più in profondità, sempre più specializzato…. la conseguenza l’abbiamo sotto gli occhi oggi: le discipline non parlano più gli stessi linguaggi, ognuno il suo gergo, non si capiscono più, non sono interessate l’una all’altra. Alla fine perdiamo il senso del tutto. Siamo esseri limitati: se il sapere aumenta aumenta anche il numero di discipline, è inevitabile; non possiamo essere tuttologi o pretendere che gli specialisti lo diventino, non sono superuomini (Figura 1). Quando capiterà mai a un geologo di leggere un articolo di biologia?
Eppure oggi, timidamente lo si comincia a fare. Le esperienze trasversali sono sempre più frequenti anche se faticose e questo è certamente un bene. Sembra un parto creativo e in parte lo è: si vuole così tentare di dare all’incomunicabilità delle discipline una nuova possibilità creativa incentivando nuove discipline ed esperienze che mettano in collegamento due o più di quelle esistenti, invece di frazionare parossisticamente quelle esistenti in un albero senza fine. Ecco dunque che l’albero diventa un grafo, una rete, forse più confacente alla logica diffusa e distribuita dell’homo digitalis di oggi. Abbiamo quindi la medicina nucleare, la biologia molecolare, la scienza della materia (fisica e chimica), la neuropsicologia, e tante altre (Figura 2, cerchietti blu). Degna di nota assoluta e di attualità è la climatologia che mette insieme geologia, fisica, metereologia, modellistica, matematica e tanto altro. E come non ricordare i pionieristici e affascinanti studi di Luigi Luca Cavalli Sforza che ha messo insieme storia, antropologia, genetica per dimostrare certe migrazioni dell’uomo?
C’è però da chiedersi quanto questo processo possa andare avanti e quanto possa essere creativo, soprattutto se possa dare alla scienza e al sapere in genere un nuovo volto degno di soddisfare le esigenze non più quantitative ma qualitative della nuova umanità che si sta affacciando sotto i nostri occhi, anzi sotto i nostri piedi.
Nonostante il processo di trasversalità sia senz’altro positivo vediamo due limiti in questo processo.
Il primo riguarda il fatto che discipline molto distanti fra loro potrebbero continuare a non incontrarsi mai per il semplice fatto che nessuno ne vede un interesse immediato. Ma questo è contrario alla logica della ricerca, che invece deve tentare proprio l’inesplorato per avere vera creatività nel lungo periodo. Chi metterà mai in collegamento, e con quali fondi e motivazioni concrete discipline come la planetologia e la neurobiologia o perfino la letteratura con la climatologia?
Il secondo problema è puramente combinatorio: se anche riuscissimo a mettere in relazione ogni disciplina con tutte le altre avremo un enorme grafo il cui numero di relazioni va con il quadrato del numero di discipline (teorema della stretta di mano), ma non basta perché per metterne in relazione tre o quattro di esse il numero aumenta vertiginosamente. Impossibile pensare che da questo processo “emerga” una nuova forma di sapere.
I recinti dell’anima e della mente sono finiti, ma inseriti in una coscienza collettiva, umana, più grande. Anche se il singolo non può “contenere tutto” per ovvi limiti personali, la coscienza collettiva può venire in aiuto. Ecco quindi che lo scienziato, il tecnologo al quale però sta a cuore il senso del tutto per non farsi schiacciare da una segmentazione e parcellizzazione sempre più radicale in un io sempre più piccolo, non può che affidarsi sempre di nuovo allo Spirito, che è artefice e vero motore di quel tutto. Riconoscere che quell’energia indagatrice è origine nello spirito creativo insito nella natura dell’uomo. Il ricercatore può riscoprire chi è davvero, nel profondo, il perchè del suo agire, cosa lo muove dentro; in sostanza di chi è figlio: cioè in quale relazione gioca il suo gioco: lui, come uomo, o donna, come persona. Insomma in cosa intende credere per davvero.
Le domande fondamentali, quelle esistenziali che “la scienza” ad un certo punto ha pensato di potersi tirare dietro le spalle confinandole nel passato; queste invece saranno sempre più ineludibili perché la risposta alla domanda sul tutto sarà l’unica arma per non impazzire, per non perdere il senso e non disperdere la propria conoscenza che si pensa egoicamente di controllare in un mare di conoscenza più vasta che ci sfugge ineludibilmente. E allora se ci si abbandona in questo mare può far si che lo scienziato del nuovo millennio potrà essere un indagatore esistenziale, un ricercatore dello Spirito, quello della verità, che è uno e che porta all’unità. Ma per fare questo bisogna ridefinire certi paradigmi e certe convinzioni spesso ascientifiche purtroppo diffuse che pure permangono nella mente dei cuori: chi pensa di essere ricco rimane a mani vuote.
Nessuno scienziato potrà mai fare sintesi sovrumane, ma può (ri)cercare colui il quale quella sintesi la possiede già, lo Spirito Creatore. In questo una nuova fecondità e una Nuova Umanità potrà riposare un po’ meno nevrotica, un po’ meno spaesata, un po’ più pacificata.
E’ bellissimo, questo articolo mi stimola, fisicamente, a respirare a pieni polmoni, finalmente! Continua, per favore, continua a trattare questo argomento nella direzione in cui hai iniziato a farlo. Sento in me, e più in generale nell’aria, un gran bisogno di parole come le tue.
Grazie infinite Frabrizio.
Benigno
Credo anch’io, come Fabrizio, che abbiamo bisogno di imparare a metterci in rete, per davvero.
Per ora stiamo facendo esperimenti di giustapposizione, collaborazioni tra discipline diverse che in ambito scientifico rimangono pur sempre all’interno delle cosiddette STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics).
Abbiamo bisogno di scienziati che non si ritengano depositari di una sapienza che solo loro sanno maneggiare, diventandone così difensori a spada tratta come se nessun altro avesse diritto di parola. La conoscenza per mezzo del metodo scientifico è patrimonio dell’umanità, non di pochi eletti. Certo occorre saper usare questa conoscenza e questo metodo, esattamente nel modo in cui ad esempio un filosofo o un teologo fa nel suo ambito.
Se mi considero invece apprendista sapiente che ha avuto il privilegio di imparare una prospettiva ed un metodo, allora vorrò condividere ciò che scopro, con chi non ha avuto l’opportunità di effettuare lo stesso percorso, come servizio offerto per il bene comune. A questo punto una critica sulla conoscenza che emerge dal mio campo di expertise non la prenderò come un fatto personale, un attacco al mio valore come persona. Sarò invece aperta al dialogo per capire sempre meglio come continuare a scambiare sapienza. Questa permeabilità mi condurrà agli intrecci disciplinari come connessione profonda, dove non si tratta di difendere l’onore della corporazione, ma di sentirci tutti parte della stessa corporazione umana, per capire sempre meglio il senso del nostro stare al mondo.
Allora scienziati, filosofi, teologi, artisti ecc. potranno unire le loro sensibilità e le loro scoperte per creare un bottino comune.
Sogno o son desta? Mi piace non smettere di crederci…
iside
Sì Iside,
mi pare un sogno bellissimo che vale la pena sognare, con convinzione, in modo da spianare la strada alla sua effettiva e compiuta realizzazione! Certo la strada è lunga, ma le cose stanno cambiando rapidamente e per certi versi, davvero in meglio. Una ragionata fiducia può essere coltivata, lo sento.
Ci sono peraltro diverse istanze che potremmo considerare. Ne accenno appena una, qui di seguito. Lo scienziato che lavora anni ed anni per familiarizzarsi con un certo ambito specifico, di fatto acquisisce una conoscenza non immediatamente replicabile, di fatto entra – a fatica e con tanto lavoro – in una zona dove pochissimi possono entrare (chi si prende la briga di studiare anni ed anni per confutare una particolare predizione di relatività generale, per dire?). Ha un potere conoscitivo che altri non hanno, di fatto. Le critiche alla sua expertise, per essere credibili, dovranno venire dunque solo da uno di quei “pochi”.
Per quanto ogni conoscenza divenga patrimonio di tutti, è innegabilmente un campo con pochi giocatori, e molti spettatori.
Dall’altro lato, questo lo pone in una posizione che è straordinariamente vantaggiosa per “divulgare” quello che ha faticosamente imparato, spogliandolo di tutta la fatica necessaria a lavorare davvero la cosa, e presentando le sue scoperte con una semplicità “di secondo livello”. Rendendo così fruibili i risultati di questo suo lavoro.
Attenzione, però, c’è un distinguo: lui rimarrà tra i pochissimi a poter davvero “verificare” e “confutare” quelle acquisizioni, mentre il pubblico più vasto a cui è stato divulgato non potranno che fidarsi (o non fidarsi). Questo purtroppo non è immediatamente modificabile, ed è nella struttura ormai complessa e stratificata della conoscenza scientifica.
E ciò comporta una assunzione di responsabilità ulteriore per questo scienziato, che anche grazie agli sforzi di tutto l’ambiente sociale viene a familiarizzarsi con tematiche innegabilmente complesse.
Concordo dunque in pieno nell’atteggiamento di umiltà che potrà vedere questo scienziato, in fecondo dialogo con poeti, teologi, artisti, unito nel compito di disegnare la mappa del cosmo per l’umanità che viene, e che è sempre nuova e sempre da creare.