Avete la percezione che adesso siamo nel cosmo? chiede un po’ provocatoriamente un Marco Guzzi in ottima forma, nell’estratto che vi propongo e che proviene da un incontro del percorso Darsi Pace.
E il resto no, non ve lo anticipo: per non rovinarvi la visione.
Vi dirò solo che ci sono anche momenti di simpatico cabaret. Ma attenzione, non è semplice intrattenimento, appare piuttosto una trovata geniale – quasi un Koan buddista – per farci sbalzare fuori dagli strati arrotolati ed opachi dell’abitudine, farci davvero guardare – almeno per un istante – con occhi cosmici.
Seriamente. Abbiamo la percezione che stiamo sfrecciando – ora – tra le stelle ad una velocità pazzesca, in rotazione in un ambiente vastissimo come la Galassia, che contiene centinaia di miliardi di stelle?
Due dati appena, giusto per carpire la portata della faccenda: il Sole, in effetti, si sposta nella sua orbita galattica ad una velocità di quasi ottocentotrentamila chilometri all’ora. Se poi consideriamo che ci vogliono comunque più di duecento milioni di anni per fare un intero giro della Via Lattea, cominciamo anche a comprendere in che razza di ambiente vastissimo siamo immersi.
Torniamo al punto. Ci rendiamo conto di tutto questo? Di questa immensità intorno a noi, di questa corsa pazza ed emozionante nello spazio, che compiamo tutti insieme a bordo di questa piccola navicella chiamata Terra?
Come è occupata la nostra mente, nel tempo ordinario? Nella nostra giornata siamo pieni di pensieri su ogni più piccola cosa, documentati fino alla ridondanza nelle nozioni più insipide, riempiti di particolari sulle notizie più effimere e inconsistenti. Notizie che domani saranno sostituite da altre, altrettanto effimere, in una distrazione di massa che non sembra ammettere soluzione di continuità.
E non abbiamo la percezione delle cose più importanti.
E’ difatti un problema di percezione, in parte. Stiamo ereditando vecchi modi di concepire noi stessi e il mondo, li facciamo nostri in modo irriflessivo e totale. In questi modi possiamo poi “incastonare” ogni tipo di nuova conoscenza, senza però farci ultimamente bagnare da questa, farci fecondare da ciò che apprendiamo (anche dalla scienza).
Abbiamo come una pellicola impermeabile, su cui tutto alla fine scivola.
Così possiamo passare un’intera vita a riflettere sulla stranezza dei fenomeni della meccanica quantistica o sulle prospettiva aperte dalla cosmologia relativistica, e nel contempo essere nel nostro intimo – come avverte Guzzi – perfettamente tolemaici. Ovvero muoverci e ragionare, rapportarci agli altri e al mondo secondo degli schemi elaborati ormai secoli e secoli fa. Schemi di azione/reazione, di causa/effetto, dominio/sottomissione, molto rigidi e considerati universali. Dove non c’è spazio per la morbidezza della relazione, e si spezzetta la realtà come fosse di granito, di particelle solide e non di trame di relazione come invece ci dice la fisica moderna.
Dove appunto regna poi la distrazione mediatico-televisiva come oppiaceo, palliativo, insoddisfacente riempitivo di quel bisogno di un senso profondo, verso il quale siamo costituzionalmente orientati.
La verità è questa. La mia parte interna è molto indietro, è molto resistente. E non solo a prospettive filosofiche che redimano questa concezione datata di universo freddo ed indifferente. Macché. Anche rispetto ad acquisizioni dimostrate ormai, con grande rigore, dalla fisica contemporanea. Perché – diciamola tutta – la mia parte interna se ne frega della fisica contemporanea, in realtà (anche se per lei ha parole di grande stima ed ammirazione, ma è tutta una messinscena).
Al mio interno c’è un uomo vecchio che ritiene comunque di essere al centro del mondo, pensa che il mondo debba ruotare intorno a lui. E’ irrimediabilmente tolemaico, tolemaico fino a fare (e farsi) del male. Sì, perché questo uomo vecchio, perpetuando ostinatamente un modello vecchio, va violenza a sé stesso e al mondo. E non si rilassa. Quasi mai. Semplicemente, non se lo può permettere. Ha i suoi modelli incorporati dentro, e agisce secondo quelli, comunque sia il suo strato esteriore.
Con alcune interessanti (ed antipatiche) conseguenze, però. Essere al centro del mondo vuol dire, prima di tutto, che se ti distrai un attimo, quello ti crolla addosso.
Sì, il tuo mondo crolla, se non lavori continuamente a tenerlo sù. Il modello geo-centrico (ego-centrico) infatti non ammette riposo, non ammette ri-creazione. Sei al centro, non ti puoi mica rilassare no? Tutto dipende da te, i rapporti, le cose, la vita. Quello che riesci ad ottenere. Sì perché devi prendere senza sosta (non c’è posto per una dinamica del dono), ma prima o poi ti crollerà tutto addosso, speri solo che non sia troppo presto. Tutto è dato, non c’è creazione più, non vi sono più sorprese.
Notiamo quanto spesso, supinamente, passivamente, assorbiamo e nutriamo un modello cosmologico da molto tempo completamente smentito dalla scienza.
E non conta niente che intanto speculiamo sui multiversi o frequentiamo corsi new age sulla coscienza cosmica. Dentro siamo duri come sassi. La sostanza dura del cuore non si ammorbidisce, studiando. Questo è un mito, ormai dovremmo saperlo. Ci vuole veramente una conoscenza iniziatica, devo cambiare io insieme all’oggetto, perché io non posso essere separato dall’oggetto (ancora, la fisica quantistica ce lo dice, ma noi non lo capiamo davvero).
Insomma. Comprensione intellettuale, comprensione scientifica non è ancora niente, se al mio interno tanto rimango come sono, rimango tolemaico. Come cantava saggiamente Gaber, già negli anni settanta (“Un’idea”),
Aveva tante idee
era un uomo d’avanguardia
si vestiva di nuova cultura
e cambiava ogni momento
ma quand’era nudo
era un uomo dell’ottocento
E’ una cosa infatti già nota, ma su cui ancora non riflettiamo abbastanza. C’è questa isteresi che non ci permette di cambiare con la velocità che pure ci sembra necessaria. Perché cambiare gli strati più interni, è sicuramente un lavoro.
E’ un nuovo modello che ci serve di interiorizzare, un modello che vede la creazione come un processo continuo in cui io stesso, con la leggerezza dell’abitare in periferia, posso partecipare, creativa-mente. Un processo al quale io ho il privilegio di partecipare, perché mi è stato concesso come dono, gratuito ed inatteso. Sempre, sorprendente.
Dobbiamo allora avviare (e ri-avviare ogni mattina) un trasformazione del pensiero, una rivoluzione copernicana, ad ogni livello. Un processo che è innegabilmente, anche una guarigione, da ogni errata interpretazione, da ogni male-dizione assorbita inopinatamente, su me stesso e sul cosmo.
Le grandi trasformazioni avvengono con piccoli gruppi di lavoro, avverte Marco. Mi convince. L’uomo nuovo, del resto, non ragiona in termini di dimensione, non è quella la variabile fondante. Grande e piccolo nell’universo sono valori a servizio, di qualcos’altro che ha più a che vedere con il senso.
Riformulare un universo di senso – comunque lo si voglia intendere – è una sfida a cui la scienza moderna ci invita da tempo, ma che noi abbiamo ancora paura ad abbracciare davvero.
E facciamo bene ad aver paura: perché questa riformulazione non potrà più avvenire nella cornice dell’uomo vecchio, saremo piuttosto noi stessi costretti a mutare, a convertirci ad una nuova visione. L’uomo vecchio dovrà morire iniziaticamente perché si acquisisca questa coscienza cosmica, perché nuovi orizzonti finalmente si aprano.
Gli orizzonti morbidi e sconfinati di un cosmo, in perpetua ri-creazione.
Ciao Marco,
Ricambio la cortesia della tua visita al mio blog dell’altro giorno. Si, condivido il tuo pensiero. Occorre risvegliarsi dal torpore indotto da una visione troppo egocentrica del mondo, quella visione dove non esiste colore ma solo bianco e nero, nemico/amico, sessista perfino, dimenticando che l’umanità è prima di tutto colore. Colore nelle gioie, nelle passioni, nell’arte, nella scienza e nella filosofia. Una visione in bianco e nero, centrata solo sull’io e non sul Noi è distruttiva e, come dicevo nel mio blog, non può portare che all’autodistruzione, al crollo di noi come esseri umani e civiltà. Un enorme spreco di energia e di tempo che non dovremmo più permetterci se vogliamo essere coscienza cosmica.
Ciao
Caro Umberto,
grazie di cuore per il tuo commento. In effetti c’è una linea di continuità tra il tuo intervento su Il Poliedrico (che infatti abbiamo rilanciato nella pagina Facebook di AltraScienza) e queste semplici considerazioni. E’ un lavoro lungo, sulla pasta dura di cui noi stessi siamo fatti e sul mondo, ma ogni granello di consapevolezza ci aiuta, piano piano, a compiere questo cammino.
Che poi è quello che il travaglio dei tempi ci richiede, adesso. Il “cambiamento d’epoca” che accusa anche Papa Francesco, non può avvenire se non mettiamo profondamente in discussione non solo taluni concetti, ma anche i meccanismi automatici con i quali ci rapportiamo tra noi e verso il mondo.
Chissà che scienza nuova ci aspetta, che nuovi paradigmi potremo finalmente “indossare”…
Caro Marco è rasserenante questa visione di cui scrivi: orizzonti sconfinati che una Coscienza Cosmica ci permetterebbe di vedere, di vivere e anche di essere farmaco per la nostra ansia di controllo.
In questo stesso giorno mi è capitato di leggere una riflessione di Sharon Salzberg, una insegnante buddista di meditazione, che da un altro punto di vista tratteggia lo stesso concetto.
Scrive:
“Immaginiamo di prendere un piccolissimo bicchiere d’acqua e di metterci dentro un cucchiaino di sale: a causa delle ridotte dimensioni del contenitore, il cucchiaino di sale avrà un grande effetto sull’acqua; tuttavia se passiamo a una distesa d’acqua più grande, per esempio un lago, e vi poniamo dentro il cucchiaino di sale, questo non avrà un effetto della stessa intensità, a causa della grandezza e della vastità del recipiente che lo contiene. Anche se il sale rimane lo stesso, la spaziosità del contenitore cambia ogni cosa.
Passiamo gran parte della vita a cercare un senso di sicurezza o protezione, tentando di cambiare la quantità di sale che ci tocca in sorte. Ironicamente, il sale è proprio la cosa su cui non possiamo agire, poiché la vita cambia e ci offre ripetuti alti e bassi. Il nostro vero lavoro è creare un contenitore così immenso che ogni aggiunta di sale, per quanto gigantesca, può entrarvi senza influire sulla sua capacità di riceverlo. Nessuna situazione, anche la più estrema, potrà allora comandare una particolare reazione.”
Un caro saluto
Complimenti per aver pubblicato qui questa chicca, frammento di una lezione di Marco. Mi ha dato l’occasione per ripensare qui ed ora che noi siamo immersi nel divenire dell’ universo. Proprio ora che ho dei fastidiosi problemi pratici da risolvere, posso prendermi una pausa: penso in grande: mi sto muovendo con tutta la terra…tra le stelle! Posso allargare il mio sguardo, le mie preoccupazioni sono una nullità! Mi concedo la pace! Respiro a pieni polmoni l’aria cosmica, espiro: mi abbandono nel tutto! Prenderò decisioni più sagge! Mariapia