Conoscenza e mistero

Sono tempi nuovi: il nuovo “urge” in noi, nelle nostre vite personali e nella vita sociale. Lo vediamo dovunque, perfino nelle tante irrequietezze politiche di questi mesi. Dove tutto viene rimesso in discussione, anche scenari che per anni e anni sono stati considerati acquisiti. Tutto cambia, tutto si modifica costantemente. Come è dunque diversa questa percezione, tutta “moderna”, da quanto si pensava fino a pochi decenni fa, pervasi ancora da un “modo di ragionare” che ormai sentiamo come lontanissimo! E nella scienza,  tutto questo fermento si avverte, allo stesso modo. 

”Probabilmente ci stiamo avvicinando al limite di tutto ciò che è possibile conoscere sull’astronomia.” Questa frase si deve a Simon Newcomb, dotto matematico ed astronomo dell’ottocento, e sintetizza bene una posizione che decisamente, non ci appartiene più. Davvero si era arrivati, alla fine del diciannovesimo secolo, ad un momento in cui si riteneva di aver compreso la quasi totalità delle dinamiche di funzionamento del mondo fisico. Una comprensione – va detto – rigidamente meccanicistica, specchio esatto e puntuale del modo di concepire il mondo ed i rapporti che si aveva in quell’epoca “dei lumi”.

Da sempre, infatti, il modo di guardare al cielo è appena l’ultima rifrangenza del modo di concepire sé stessi. E il cosmo sembrava allora qualcosa di quasi del tutto compreso e l’universo, ormai lo si era capito, era appena un gioco complesso ma calcolabile di rapporti di forza, di elaborazione accurata ed infinitamente precisa di equilibri e dinamiche, masse e forze, campi e gravità.

Tutto era alla portata del computo matematico, che avrebbe finalmente fatto luce in tante residue zone di incertezza. Tutto appariva, in potenza, come infinitamente conoscibile: questione di tempo, appena. Nient’altro. E tutto appariva, se ci pensiamo bene, senza sorprese. Niente poteva stupire più l’uomo occidentale, che con i mezzi della pura ragione si applicava all’opera paziente di portare alla luce ogni cosa non ancora conosciuta, di essiccare ogni residuo di indeterminazione, di residua incertezza. Di procedere di luce in luce estirpando ogni residua superstizione o credenza (a volte così sbrigativamente riunite insieme), e più in generale, ogni senso di altro ed altrove, rispetto al mondo fisico.

Sappiamo poi come la natura stessa avrebbe frustrato questa attitudine di pensiero, questo orientamento conoscitivo, portando l’uomo ad incontrare ed incontrarsi con un irriducibile mistero, con qualcosa che in ogni modo resiste ed anzi si oppone, all’idea tutta positivistica per cui la pura razionalità è l’unica porta alla vera conoscenza.

In un simile contesto, la meccanica quantistica “scoppia” in mano agli scienziati, si può ben dire, come il segnale forte e non più ignorabile, del fatto che c’è una frazione di indeterminazione intrinseca, nell’atto stesso del conoscere, che esiste una compromissione inestinguibile, tra il soggetto conoscente e l’oggetto del conoscere. Tale oggetto – che si pretendeva asettico ad libitum con chiaro nitore di laboratorio – è invece inestricabilmente mischiato e coinvolto nell’atto stesso delle conoscenza.

Non c’è più un altro separato da me, ecco la lezione della modernità (ma qui, per intuire come la modernità sia per larga parte la riscoperta di un tesoro già posseduto, possiamo ritornare alla Lettera ai Galati, là dove Paolo scrive che non c’è più né giudeo né greco…). L’altro si mischia con me nel momento stesso che vi entro in relazione, nell’istante esatto che mi interrogo sulla sua natura. Non posso conoscere senza partecipare in ciò che sto indagando: adesso lo sappiamo, è fisicamente impossibile.

L’universo si modifica nell’atto stesso dell’indagine che facciamo su di lui, l’universo “sente” la nostra presenza e si riconfigura. Non è possibile rinchiuderlo in laboratorio, non è pensabile senza di noi, non è indagabile separandolo da chi lo guarda. Davvero, stiamo comprendendo come tutto sia relazione. La relazione – dunque un processo e non un nucleo elementare di materia – sarebbe il “mattoncino fondamentale” che i fisici cercano da secoli.

Ma questo ancora non lo si sapeva,  non lo si comprendeva: la coscienza umana avrebbe avuto ancora molti passi da fare. La relatività e la meccanica quantistica da un lato, e l’affiorare della psicanalisi, con il concetto di inconscio, avrebbero messo l’uomo davanti all’evidenza di una materia oscura (interna ed esterna) che garantisce l’impossibilità di estinguere il mistero da noi ed intorno a noi, e allo stesso tempo mantiene aperta e viva una componente di libertà per l’uomo, che sfugge ultimamente ad ogni schema deterministico, proprio in virtù di questo inconoscibile.

Il positivismo scientifico muore (anche se per molti versi la sua estinzione sarà molto lunga e per certi versi permane tuttora) perché in ultima analisi si rivela come ipotesi semplicistica ed inadatta alla complessità e alla irriducibile varietà del reale. Muore nel mentre noi ci spogliamo delle vesti dell’uomo ottocentesco, ammorbidendo le certezze granitiche e piccolo borghesi in favore di un universo pieno di misteri che ci sovrastano e ci sorpassano da ogni parte, e che rispecchiano assai meglio la coscienza dell’uomo della nostra epoca. 

Oggi, infatti, dismessa ogni ingenua ipotesi di conoscenza totale del mondo, assai più ci riconosciamo in uno scambio di battute di una nota serie televisiva, The Big Bang Theory, ambito ipermoderno dal quale ci giunge questo scambio folgorante:

  • Bernadette: … come va con la materia oscura, Sheldon? 
  • Sheldon: Ah, devo dire che questo è il periodo più eccitante della storia del settore
  • Bernadette: Cosa sta succedendo? 
  • Sheldon: Ho iniziato ad occuparmene.

Dobbiamo renderci conto che tra la frase di Newcomb e quest’angolino di una “normale” serie televisiva, si distende un intero universo, un universo che è prima di tutto psichico, mentale. Un modo totalmente diverso di ragionare, ci riveste, rispetto ad un sapiente di (ormai) due secoli fa. Ma è un cambiamento di prospettiva profondo. Alla sicurezza stagnante – ed anche presupponente – del “già saputo” è subentrato, è rientrato, è esondato in noi, il senso di mistero e di eccitazione per quel che invece, clamorosamente, non si conosce.

C’è tutto un mondo, tra queste due posizioni. Lo sappiamo, c’è un mondo, nella scienza e nella vita.  Si tratta, lentamente e faticosamente, per ognuno di noi, di accettare di “nascere” ad una nuova conoscenza, una conoscenza nuova ed antica che non elide il mistero, non tenta di evaporarlo dalla scena anche tecnico-scientifica, ma lo riconosce in tutta la sua inesauribile fecondità. Possiamo appena alzare lo sguardo, e partire per una avventura di cui realmente non possiamo valutarne né la esatta natura né i suoi specifici confini. Non possiamo, nemmeno con tutta la potenza di calcolo possibile ed immaginabile: è un problema ontologico, non tecnico.

Vedremo nella prossima parte, poi, quanto questo processo di nuova nascita è innestato nel modo stesso di concepire il cosmo, di (ri)pensare l’universo stesso.

Il presente testo costituisce la prima parte di un intervento che sarà presto pubblicato integralmente sui Quaderni dell'Associazione Italiana Theilhard de Chardin (Teilhard aujourd’hui), dal titolo "Dalla gravità al senso del bello", qui riprodotto per gentile concessione dell'Associazione (con piccole variazioni). Il resto dell'intervento verrà reso disponibile anche in questa sede, attraverso successivi post.

Autore: Marco Castellani

Astrofisico, divulgatore, scrittore.

14 pensieri riguardo “Conoscenza e mistero”

  1. Se ben capisco anche in questo ambito è la RELAZIONE il punto cruciale, la vera ‘particella di Dio’ per usare una definizione molto cara ai giornalisti che commentavano la funzione del bosone di Higgs.

    1. Grazie Zoe per il commento. Direi, da quello che mi pare si capire, che nel tempo gli stessi fisici che indagano il mistero della materia si sono accorti di dover cambiare in parte l’oggetto della loro stessa indagine. Difatti, la ricerca della particella fondamentale – come spiega anche Rovelli nelle sue celebri “brevi lezioni” – è stata frustrata dal comportamento stesso del mondo microscopico, capace di generare sempre nuove particelle e di farne mutare continuamente la natura. Dunque non esiste, a quanto capiamo, un mattoncino fondamentale di materia. A sorpresa, appunto, la cosa più “basilare” che possiamo trovare, che è l’architettura portante del tutto, è la relazione tra enti, che regola e restituisce forma e consistenza al nostro mondo.

    1. L’atto di ammettere che la propria conoscenza è limitata è in primis un atto di umiltà. È con questo atteggiamento che la comunità scientifica deve porsi davanti ai fenomeni irrisolti per comprendere che esistono spazi infiniti del sapere, avvolti dal mistero.
      Un’ ipotesi plausibile sulla formazione dell’universo (teoria del Big Bang) ammette che la separazione conseguente alla grande esplosione abbia lasciato memoria e “nostalgia” dell’unità primordiale.
      (Leggi lo scrittore Tomatis in suo libro). E che conseguentemente tutta la creazione rimarrebbe ancora sottilmente collegata. Questa concezione ben si sposerebbe con il sentimento di molte tradizioni religiose.
      Ecco dove scienza e sentimento religioso o spiritualità si avvicinano e si alleano.

      1. Caro Pasqualino,

        non conoscevo questa visione della “nostalgia” dell’unità primordiale, che – almeno a livello poetico, ma con tante suggestioni più “pratiche” – indubbiamente mi colpisce.

        In generale, sono convinto anche io che scienza e spiritualità hanno finalmente modo di avvicinarsi e addirittura (come dici tu) fare alleanza. Ora che stiamo uscendo – un po’ con le ossa rotte, ma ci voleva – da tanti dogmatismi, da tanti schematismi (sia a livello di scienziati che, a volte, di uomini di religione), ora finalmente il cammino è aperto (dovrei dire “riaperto”) per questa alleanza. Che sarà a tutto vantaggio dell’uomo e della sua unità interiore.

        Qui proveremo a parlarne, per quanto possiamo. Una bella strada ci attende: percorriamola insieme.

    2. Grazie a te cara Defliana. Sono davvero contento che sia emersa questa “attitudine” dalle mie parole, è forse la cosa più importante di tutte… è importante ricominciare un anno guardando al cosmo con una apertura – almeno tentativamente – che ci abiliti ad ascoltarne le risonanze, e a sentirci parte di esso…

      Un cordialissimo saluto.

  2. Bello questo tuo articolo Marco, adesso sono curiosa di leggere il seguito. Tra l’altro grazie anche perché mi ha dato il modo di rileggere l’articolo di Giovanna, ricordo mi aveva molto colpito a suo tempo e, di nuovo, anche ora.

    “L’altro si mischia con me nel momento stesso che vi entro in relazione, nell’istante esatto che mi interrogo sulla sua natura. Non posso conoscere senza partecipare in ciò che sto indagando…”

    Già e non è così solo per la fisica, anche per altre scienze … ovunque in realtà. Eppure contemporaneamente, in più modi, c’è il tentativo infantile di irrigidirsi in protocolli non utili, spesso dannosi, sempre ignoranti, volti a spezzarle le relazioni, a cancellare il mischiarsi, a separarsi, ad accecarsi, forse pensando che non vedere basti a sciogliere le proprie paure.

    Buona giornata a te 🙂

    1. Cara Maria,

      grazie infinite per il tuo commento, e per essere venuta qui a scriverlo, dando spazio alla mia insistenza 😉

      Hai ragione nel merito, c’è in atto uno “scioglimento” di ghiacci che sono rimasti belli solidi per molto, ma non dobbiamo dimenticare che c’è una resistenza a che questi ghiacci si sciolgano davvero. Ogni cosa veramente utile e buona trova una resistenza, lo sappiamo. Non dobbiamo farcela troppo facile, per di più sappiamo di essere tutti abitati da una Ferita misteriosa (si chiama anche, per alcuni, Peccato Originale) per cui l’anelito al bene e ai percorsi virtuosi è impacciato, impedito, reso difficile.

      Per di più questo processo di rivoluzione ci può trovare impauriti, può scardinare il nostro modo di vedere il mondo, e anche ambiti di potere e influenza che abbiamo codificato, sia pur basandoci sulle nostre chiusure, e non siamo sempre disposti a “lasciar andare”.

      In ogni caso la direzione delle cose è sempre più chiara, e quindi la “resistenza” (in noi, e fuori di noi) è sempre più faticosa, anche se sempre possibile. Poi c’è il fatto semplice, che resistere non dà gioia, cedere a questa rivoluzione, invece sì.

      Alla fine, mi piace credere che la gioia, vinca.

  3. Abbiamo davvero tanto bisogno di guardare le intersezioni, gli intrecci, le interconnessioni e lasciar perdere la smania per le compartimentazioni, i confinamenti, le separazioni, tanto tra di noi quanto nello studio scientifico.
    iside

    1. Brava Iside: intersezioni, intrecci, interconnessioni. Trovo dei passi illuminanti in un libretto denso e limpido e dolcemente liberante, che si chiama “Del buon uso delle crisi” di Christiane Singer.

      “Perché ciò che non è siamo tu e io – separati – e quello che è, è tutto ciò che ci unisce – tutto il campo fluttuante fra le nostre coscienze, questa intensità, questa immensità di cui siamo partecipi, questa immensità stesa come un’ampia velatura fra Dio, le cose e gli esseri.”

      Questa coscienza affiora sempre di più, ormai è palese, non possiamo ignorarla. Ogni muro eretto adesso, ogni porto blindato, è doppiamente nocivo, perché si oppone al flusso inarrestabile della coscienza, al modo nuovo di vedere il cosmo, che – pur tra tante fatiche e contraddizioni – sta definitivamente nascendo.

  4. Voglio ringraziarti, caro Marco, innanzitutto perchè questo tuo scritto mi rallegra.

    Poi perchè conferma e rafforza i nostri già grandi motivi di speranza sul “senso” della vita.

    Mi riporta infatti alle due visioni della vita, quella del “mondo” in senso paolino, che si percepisce come assurdità, nichilismo e morte, e quella proposta dal Cristo di una salvezza avvolta nel mistero.E poiché spetta all’essere umano la libera scelta, io tra l’assurdo e il mistero scelgo il mistero.

    Mi piace la citazione della lettera ai Galati, con l’applicazione del “non c’è più né giudeo né greco…” al dato che non è possibile distinguere tra il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto.

    E qui emergono due conseguenze rilevanti:

    La prima è quella che tu proponi e sottolinei della “relazione” come “mattoncino primo” mobile e quindi intrinsecamente misterioso, di un mistero da svelare gioiosa-mente: mistero che attiva e valorizza tutta la nostra creatività.

    La seconda è quella che stiamo imparando in DarsiPace, che ci aiuta a spostare l’attenzione dall’oggetto che studiamo, per fare un esempio puramente a caso, la politica, al soggetto che studia, cioè noi stessi.

    Ed è meraviglioso perché, se è vero che io non sono distinguibile dalla politica che studio per poi impegnarmici, allora non è solo giusto ma è “indispensabile” la purificazione di me studioso, e cioè è necessaria la mia conversione, per disannebbiare e per raddrizzare le distorsioni delle lenti con cui guardo. Se così fosse, il percorso iniziatico si confermerebbe come precondizione anche per un giusto utilizzo della ragione e della ricerca scientifica oltre che della ricerca su noi e la nostra vita.

    Chiarificatore e molto utile questo scritto, in sintonia, vedo, col grande Teilhard de Chardin.

    Un abbraccio, GianCarlo

    1. Grazie caro Giancarlo,

      i tuoi interventi sempre pacati e ragionevoli sono un esempio concreto di come poter condurre un dialogo attraverso Internet. Lo apprezzo e anzi mi insegni molto, in questo senso.

      Venendo al merito, direi che siamo in un’epoca in cui è appare più necessario un percorso di “conversione” (in senso ampio, più ampio possibile) e moltissimi cammini cristiani e non, incluso certamente Darsi Pace, possono aiutare e sostenere le persone in questo percorso.

      Il tema politico, che probabilmente citi perché appare particolarmente “caldo” in ambiti che sappiamo, certamente non sfugge a questa dinamica, di “nuova conoscenza”. E’ un tema, come avvertiamo entrambi, parecchio delicato. E che esula in parte dal focus di questa serie di interventi.

      Direi soltanto che in questo senso, la bontà dell’accompagnamento spirituale – a mio avviso – si misura espressamente su quanto libera rimane la scelta della persona: di come sia condotta a vedere tutto con occhi nuovi, ma senza più ricevere istruzioni e schemi di valori già belli e confezionati (peggio che mai, supportati “in forza” di una visione spirituale).

      Diffiderei di ogni percorso che “approdasse” in un definito schema partitico-politico, qualunque esso sia. Sarebbe un tragico impoverimento della libertà dei praticanti, anche di quelli che volessero impegnarsi attivamente nelle formazioni politiche a loro più congeniali.

      Questa come sai bene, è una cosa non proprio banale, ed è – io credo – un obiettivo di maturazione personale e collettiva, certamente auspicabile. La varietà politica è specchio fedele e necessario del margine di mistero che adorna la nuova visione del mondo, dialogante e perpetuamente rifiorente, dinamica e morbida, non più rigida o dogmatica.

      Allora, abituarsi al pensiero libero (benissimo vivificato e fermentato dai vari percorsi), venire spinti dai maestri spirituali all’uso proprio e sensato della libertà personale, mi sembra un altissimo e meritorio obiettivo. In parte, credo, ancora da scoprire e da assaporare. Già e non ancora, come sempre.

      Grazie carissimo!

  5. Caro Marco, non conosco nè fisica, nè matematica , nè astronomia , ma ho trascorso la mia vita a scrutare il cuore umano, il mio e quello degli altri e a ricercare la verità.Il passaggio che più mi affascina della tua relazione è quello che si conclude dicendo :”La relazione-dunque un processo e non un nucleo elementare di materia-sarebbe il “mattoncino fondamentale “che i fisici cercano da secoli”.In effetti, come sappiamo,la Creazione non è conclusa, si espande di continuo, anche ad opera nostra. Mi commuove tutto l’ amore, la fiducia e la tenerezza di “Padre buono”che Dio ha profuso nei nostri confronti. Nella misura in cui siamo “chi siamo”creiamo mondi nuovi, in cielo e in terra .Da incompetente in materia, credo che la relazione sia il mattoncino fondamentale di tutto l’ esistente, cosmico e umano, perchè , come dice M. Buber “in principio fu la relazione “perchè Dio è relazione e , quindi, suppongo che questa legge pervada tutto l’ Universo , cosmico e umano. Ma credo anche che noi umani possiamo spingere la nostra conoscenza fino ad un certo punto. Dopo dobbiamo abbandonarci al mistero…fin quando non Lo vedremo faccia a faccia. Come dice Dante”State contenti, umana gente al quia , chè se potuto aveste veder tutto, mestier non era partutir Maria “, Purgatorio, Canto III, verso 37.

  6. Seguo con interesse gli interventi di Marco e vorrei sapere se per caso conosce la figura di Federico Faggin, i video su you tube o i suoi libri (Silicio). Federico Faggin è un fisico, inventore e imprenditore italiano naturalizzato statunitense. Nella Silicon Valley fu capo progetto dell’Intel 4004 e responsabile dello sviluppo dei microprocessori 8008, 4040 e 8080 e delle relative architetture. Studioso di fisica quantistica e neuroscienze ha vissuto qualche anno fa una conversione alla ricerca spirituale che lo ha portato a negare decisamente la possibilità che i computer possano pensare (lui che li ha creati) e ad istituire una Fondazione che finanzia (nei massimi livelli universitari degli Stati Uniti) la ricerca della “consapevolezza”come fondamento primo della realtà, in connessione con lo studio delle scienze (fisica, astronomia e biologia). Dal punto di vista teorico-fisico quantistico non capisco molto ma la sua posizione mi sembra estremamente interessante, ed innovativa anche per quanto riguarda le neuroscienze e l’intelligenza artificiale.

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